Elena Ferrante fra mito e realtà. I libri non si scrivono da soli
I libri non si
scrivono da soli
Articolo di
Federico Berti
Il romanzo di Elena Ferrante ‘L’amica geniale’, da cui è stata tratta una recente fiction per la Rai, è stato oggetto di viva polemica un paio d’anni fa, quando il Sole 24 ore ha pubblicato un’inchiesta nella quale s’indagava sulla identità vera o presunta dell’autrice.
CLAUDIO GATTI SUL ‘SOLE 24 ORE’
Nell’autunno del 2016 Claudio Gatti pubblica sul Sole 24 Ore un articolo nel quale sostiene di aver indagato sulle operazioni finanziarie delle Edizioni E/O nel periodo in cui il fenomeno di Elena Ferrante è esploso in tutta la sua popolarità, per risalire all’identità di chi doveva aver beneficiato del diritto d’autore; ne risultò come molti sanno il nome di una traduttrice free lance che collabora con la casa editrice e quello di suo marito. La reazione dell’editore fu piuttosto seccata, in quell’occasione rivendicò il diritto alla riservatezza lamentando un’attenzione morbosa dai pericolosi risvolti ‘sessisti’, risposta alla quale replicò a sua volta il Gatti sostenendo che la prima ad aver violato la privacy dell’autrice è stata l’autrice stessa rilasciando interviste e scrivendo un’opera autobiografica nella quale trasmetteva informazioni a suo dire non autentiche.
ORPHANALYTICS, DOMENICO STARNONE
Evidentemente il messaggio dell’editore non è stato compreso, una settimana dopo l’articolo di Claudio Gatti vengono pubblicati i risultati d’una ricerca stilometrica a cura di una startup svizzera di nome Orphanalytics, che esaminando il testo letterario delle opere pubblicate dalle edizioni E/O a nome di Elena Ferrante avrebbe concluso che il linguaggio risulta compatibile solo con lo stile dello scrittore Domenico Starnone, marito della traduttrice Anita Raja indicata inizialmente come possibile alter ego dell’autrice. Quest’ultima non è stata sottoposta all’analisi comparativa perché le traduzioni non consentono di identificare uno stile ‘proprio’ essendo orientate verso la resa di un testo da trasporre in una lingua diversa. Per rendere un’idea della tensione sviluppatasi intorno a questo dibattito, riporto una lapidaria osservazione del collettivo Wu Ming che francamente mi sento di condividere:
LA PROFESSORESSA MARMO
L’iniziativa dei cercatori di gossip non viene scoraggiata nemmeno dalla reazione infastidita degli stessi lettori, il filologo Marco Santagata pochi mesi più tardi si convince d’aver trovato il nome anagrafico della misteriosa scrittrice identificandolo nella professoressa Marcella Marmo, docente all’Università Federico II di Napoli, in quanto il romanzo a suo parere riporta dettagli che denotano la frequentazione della Normale di Pisa negli stessi anni in cui vi era iscritta la docente napoletana. Interessante in questo caso l’identificazione di un personaggio tratto dal romanzo con Adriano Sofri, che frequentava quello stesso istituto negli anni della contestazione. Ancora una volta l’indagine risolve nella smentita da parte della diretta interessata, la quale sostiene di non avere alcuna velleità letteraria. Scrive infatti la prof. Marmo di sé stessa:
“La mia è una scrittura poco fantasiosa, forse sono più brillante e generosa nell’insegnamento. Nessuno ha letto le mie cose. I miei libri non sono leggibili. Chi arriva alla terza pagina si è stufato perché inevitabilmente si capisce che voglio fare una ricostruzione storica. Al contrario di quello che vuole il lettore”. A. Di Costanzo, ‘La Repubblica’ 13 Marzo 2016
IL MITO E’ UN’ALTRA COSA
Con questo vorrei sorvolare sulle ulteriori cadute di ‘stile’, limitandomi piuttosto ad aggiungere nomi come Goffredo Fofi e gli stessi coniugi Ozzola-Ferri all’elenco dei personaggi cui l’identità anagrafica di Elena Ferrante è stata sovrapposta. Non è facile seguire il dibattito senza prendervi parte attivamente, ma come dire da testimone super partes: leggendo queste cose provo la stessa sensazione che mi assale ogni volta in cui un nuovo esploratore dell’impossibile sostiene di aver trovato le rovine della mitica Atlantide, una volta nel Mar Nero, un’altra volta nell’Egeo, poi in Sardegna, nel Baltico, in Perù e chissà dove altro. Dimenticando che il mito è un’altra cosa. Nel momento in cui un autore nega di rendere pubblica la sua identità anagrafica, di fatto si affida all’editore che si fa garante della sua opera ed è incaricato di rappresentarlo. Questo il punto di partenza che mi ha spinto verso una prospettiva diversa da quelle che ho letto fin ora.
DAL SITUAZIONISMO ALLA NEW EPIC
Per conoscere l’identità di Elena Ferrante bisogna chiedersi in ultima analisi chi siano i suoi garanti, ovvero le Edizioni E/O come nascono e quale sia il loro ‘programma’. Sappiamo dal sito stesso della casa editrice che le prime esperienze partono dall’attivismo politico e in particolare dall’ambiente di Lotta continua. All’inizio si traducevano autori dall’est europeo, per lo più dissidenti che tenevano i loro circoli letterari nelle osterie del blocco comunista, per arrivare ai quali si dovevano percorrere strade non sempre ‘comode’. L’ambiente culturale di Adriano Sofri, dello stesso Goffredo Fofi che si occupa a lungo dell’immigrazione proletaria dal meridione verso il nord del paese. Ma anche l’ambiente culturale di Christa Wolf, che proprio attraverso le edizioni E/O (Est/Ovest) viene tradotta in italiano, di Milan Kundera e il circolo di Praga. Simbolo scelto da Ozzola-Ferro è la cicogna, l’uccello migratore che solca cieli divisi.
LA CICOGNA VOLA AD OCCIDENTE
Caduto il muro di Berlino la casa editrice si rivolge verso il continente americano dal quale importa autori come Thomas Pynchon, un altro che scrive sotto pseudonimo e di cui per molto tempo nessuno conosce la vera identità; negli anni ’90 iniziano a svilupparsi in Italia il movimento situazionista con Luther Blissett, poi la New Epics di Wu Ming nata a Bologna dall’ambiente delle edizioni indipendenti, della controcultura e degli infoshops che hanno raccolto l’eredità del ’77: è in quel periodo che le Edizioni E/O danno vita al progetto Ferrante, nel quale tutte queste suggestioni trovano espressione compiuta e matura. Sono i primi anni dell’utopia telematica, Internet sembra voler annunciare il mondo nuovo dell’antagonismo attraverso un uso consapevole dei social networks ed è in quel mondo ‘virtuale’ che il movimento riesce a trovare zone temporaneamente autonome in cui radicarsi.
DA MARTONE ALL’AMERICA
Negli anni seguenti accade qualcosa che nessuno si aspettava, il Web si rivela un ambiente favorevole al consolidarsi del progetto e il mito di Elena Ferrante finisce prima in un film di Mario Martone, poi vola oltre oceano trovando sempre più estimatori nel pubblico americano, fino a quando un romanzo del progetto Ferrante dopo alterne vicende non viene ripreso nella fortunata fiction televisiva che lo sta riportando ancora una volta in volo alle stelle. Milioni di copie vendute, folle oceaniche assiepate in piccole librerie, il progetto diventa una sorta di ‘cult’ ma l’autrice continua a negarsi poiché sostiene che un’opera letteraria possa vivere anche senza l’intervento dell’autore.
DALL’EPICA ALLE FAKE NEWS
Su questo punto si arena di solito qualsiasi dibattito, il pubblico stesso insiste che il problema dell’identità non se lo è mai posto e qui a mio parere è doverosa una precisazione, un dettaglio di cui l’editore mi sembra ben consapevole ma talvolta al lettore dà l’impressione di sfuggire. Nessun libro si scrive da solo, ma soprattutto dev’esserci sempre qualcuno che si assume le responsabilità del suo contenuto: per valutare correttamente una storia è sempre indispensabile chiedersi chi stia raccontando cosa e perché, l’atteggiamento critico impone di partire da una realtà documentabile: se infatti confondo il mito con la realtà nella lettura di un romanzo, sarò portato a fare lo stesso leggendo un giornale e mi troverò più facilmente soggetto alla manipolazione mediatica. Nel caso di Elena Ferrante come di tutti gli altri autori che scelgono di rimanere nell’ombra, dovrò far riferimento non più all’identità anagrafica della persona in carne e ossa, ma piuttosto all’autore ideale e al lettore modello cui si rivolge, solo così è possibile portare il mito nella realtà, traendone un reale insegnamento di vita. A questo proposito un paragone che ricorre nelle mie lezioni di ‘hoax catching’ è il classico della barzelletta sui carabinieri raccontata da un borseggiatore in carcere, che non potrà mai avere lo stesso significato della medesima barzelletta raccontata dal maresciallo in una stazione dei carabinieri: il testo ha bisogno di un contesto per acquisire un senso, non basta dire che un romanzo può fare a meno del suo autore una volta pubblicato, nella realtà sappiamo che non è così altrimenti nessuna intervista sarebbe stata rilasciata da Elena Ferrante o da chi per lei/loro, per il semplice fatto che nessuno ne avrebbe sentito il bisogno. Il punto è saper distinguere tra l’autore empirico e l’ideale, l’individuo e il modello ovvero il progetto considerato nel suo complesso: in questo senso noi diremo che un autore esiste, è la casa editrice incaricata di mediare l’immagine dell’autore ‘ideale’ con il lettore ‘empirico’. Se consideriamo il fenomeno da questa prospettiva allora l’identità di Elena Ferrante si può ricavare dalla combinazione di molti fattori, in parte il mito elaborato nella vera o presunta autobiografia, in parte il progetto che sta dietro alla casa editrice e al suo ambiente culturale, in parte nelle figure intellettuali che intorno ad essa emergono. Quella è l’identità dell’autrice ‘ideale’, la sola con cui per noi è possibile relazionarci; se poi vi sia realmente una persona ispirata da queste figure, una donna o un uomo (o più donne e uomini) che abbiano letto i libri sulla cultura del proletariato urbano nei rioni di Napoli dal dopoguerra al crollo del muro di Berlino, che abbia studiato l’emigrazione al nord, la contestazione universitaria, il femminismo degli anni ’70, l’attivismo di Lotta continua, i personaggi femminili di Christa Wolf e che ne abbia tratto ispirazione per un romanzo, o che questa persona fisica sia assente, questo per noi che siamo dall’altro lato della pagina scritta, è irrilevante. Ma di sicuro un autore c’è, sempre: i libri non si scrivono da soli. Impariamo a relazionarci con l’autore modello, non disperdiamoci in vane astrazioni su quello empirico.CHI E’ DUNQUE ELENA FERRANTE
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