Fuga nella tormenta. Il Boia dell’Alpe. Romanzo noir italiano.


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Braccata
nella neve

Il Boia dell’Alpe n.2
Thriller italiano

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Non so se mi lasceran finire, nessun luogo è sicuro adesso. Mi trovo in una casa abitata solo d’estate. Conosco i padroni, van via senza nemmeno accostare gli scuri. Tutt’intorno è murato di neve. Vagando nel bosco spaventata a un tratto vedo orme simili alle mie, le seguo appena il tanto che basta a confondere le tracce poi torno sui miei passi fino a un grosso noce, sollevandomi a stento sul ramo basso che sporge. Quella finestra in alto senza il vetro, forse riesco a ingannarli. Devo muovermi, presto saranno qui. Rapace in volo non genera l’impronta.

Percorro alcuni metri tenendomi stretta ai rami, poi mi lascio cadere s’un monte di neve che poggia contro il muro in sasso. All’altezza del secondo piano. Mi sento congelare. Non voglio nemmeno pensare a quel che accadrebbe, se mi trovassero… La neve scavalca i muri, sfonda i tetti e le vetrate, sembra un gioco da villeggianti. Ho appena violato un domicilio, mi dico. Non c’è legna, comunque non è prudente accendere il fuoco; riesco a trovare una coperta piena di buchi e un berretto di lana, provviste per pochi giorni. Non c’è un telefono, la luce è staccata.


“Sarà questa neve, non vuol saperne di
smettere: poco male andrò in paese a
sentire, mi scalderò nel bar aspettando
passi. Esco a piedi, m’accorgo che in
alcuni punti arriva al secondo piano
coprendo porte e finestre, le strade
principali sono percorribili ma con
cautela”


Non resta che aspettare. Trovo un taccuino dentro un cassetto e un paio di penne biro: se scoprono dove mi nascondo, sarà bene lasciare una testimonianza. Durante il giorno un po’ di luce filtra nel piccolo bosco di faggi, la notte al chiaro di luna posso scrivere qualche ora. Probabilmente non avrò il tempo di rileggere. Veniamo ai fatti. Mi sveglio una mattina col naso che goccia e la testa gelata, la caldaia spenta. Scivolo fuori dal letto vestendomi in fretta, imparo dalla vicina che il palazzo è al buio, forse anche la casa di fronte dice lei.

Sarà questa neve, non vuol saperne di smettere: poco male andrò in paese a sentire, mi scalderò nell’osteria aspettando passi. Esco a piedi, m’accorgo che in alcuni punti arriva al secondo piano coprendo porte e finestre, le strade principali sono percorribili ma con cautela. Una città fantasma. Non una serranda alzata, non una vetrina illuminata. Conosco una trattoria col camino a mezz’ora da qui, per quanto ne so chi si muove non gela. Intorno a me un acquerello in tonalità bianco grigio, fatico a distinguere il cielo dalla terra; da un capo all’altro della valle il campanile annega nella foschia, cancelli bloccati, veicoli sepolti, uno spesso strato di ghiaccio cristallizzato intorno ai fili elettrici.

Non appena arrivo nel piccolo borgo a Pian di Maggio un gruppo di bambine mi gira intorno tenendosi per mano e cantando una storia di morti ammazzati, assassini, spettri che tornano dall’altro mondo. Di solito mi fan sorridere, ma quel giorno le loro bocche sembrano strette in un sorriso pieno di malizia, un velo sottile di crudeltà. Cosa vado a pensare, dico tra me. Beata innocenza… Il tempo fugge, attraverso il cerchio entrando nella locanda.

La neve ha danneggiato la rete pubblica lasciando senza luce l’intera montagna, è partita una squadra da molto lontano, alcuni elicotteri perlustrano la zona; gli esperti però non conoscono questi luoghi. Non parlano la nostra lingua, si vede che hanno studiato all’estero e con tutta l’esperienza maturata nell’inutile corso d’aggiornamento l’ingegnere non trova le centraline dell’impianto. Un’immensa distesa bianca falsa le distanze, l’andamento dei rilievi: tratti di strada scomparsi, torrenti gelati, tonnellate di neve che franano trascinandosi dietro alberi e persone. La tormenta fa paura (Continua a leggere)

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