Folletti al cimitero. Romanzo noir
Folletti
al cimitero
Il Boia dell’Alpe n.8
Thriller italiano
Leggi anteprima
DOWNLOAD EBOOK
Epub | Pdf
Ai pazzi e agli ignoranti puoi raccontare di tutto, un alieno che t’ha rapito, il volto del demonio nel fumo di un’esplosione, meno la storia è credibile più saranno disposti a uccidere per difenderla. Così pensavo sentendo parlare di loro, stando ai racconti devono essere alti poco più d’un metro, le spalle curve e il corpo ricoperto da una peluria folta, la testa d’un grosso coniglio con lunghe orecchie a punta. Costruiscono piccole capanne, vengono raramente in paese. E’ accaduto subito dopo una festa campestre sul finire dell’estate, alcuni bambini si son persi nella macchia e l’han ritrovati al tramonto in stato confusionale. Non parlarono per tre giorni e in seguito cominciarono a manifestare comportamenti poco socievoli, scene di violenza inspiegabili; il fenomeno dilagava come se quell’improvvisa isteria fosse contagiosa. Non ho figli ma ricordo le bambine in girotondo a Pian di Maggio: sembravano spilli quegli occhi, mi si conficcavano dappertutto. Nonostante questo, per lungo tempo ho continuato a non credere. Non esistono i folletti, né giganti, draghi, fate del bosco.
Nota dell’editore. La scrittura torna a farsi meno regolare e non segue perfettamente le righe sul foglio, la dimensione dei caratteri unita al tratto non molto sicuro suggerisce una progressiva diminuzione di luminosità, forse un rapido raffreddamento dell’ambiente che influisce sul movimento delle dita; l’intero manoscritto è caratterizzato da variazioni simili, dalle quali è possibile intuire con buona approssimazione l’alternarsi del giorno e della notte nella casa abbandonata in cui la signora Garganelli ha trovato rifugio negli ultimi giorni prima della sua scomparsa. Continuo a evidenziare in corsivo le sibilline sottolineature contenute nel testo originario.
“La montagna stretta nella morsa del
gelo, interrotti i collegamenti, manca
la luce, ma il cimitero è pulito. Non
si sgomberano le strade dei vivi,
quelle dei morti puoi ballarci sopra”
Asfodelio ha mantenuto la promessa, dev’esserci una tomba scoperchiata laggiù al cimitero e il corpo del boscaiolo potrebbe essere stato dissepolto da qualcuno coinvolto nel traffico delle reliquie, argomento che tanto scalpore continua a sollevare nei giornali. C’incamminiamo per la strada principale battuta dagli spartineve; portiamo con noi due torce a batteria. Il tenue bagliore della luna si riflette sul manto immacolato che ricopre la montagna facendolo brillare nella notte, Veneranda s’afferra al braccio del suo non più giovane cavaliere. Convinti di trovare il camposanto sepolto da tonnellate di neve dura come pietra, rimaniamo sorpresi nel constatare che la casa dei morti è invece completamente sgombera, ogni cosa al suo posto lumini compresi. La montagna stretta nella morsa del gelo, interrotti i collegamenti, manca la luce ma il cimitero è pulito. Entriamo dal cancello principale senza far rumore, ci segniamo con devozione prima di percorrere il piccolo viale guardandoci intorno circospetti; spalare un sentiero da tre metri di neve non servono braccia robuste e buona volontà, ci vuole quanto meno un piccolo trattore; così pare sia stato, a giudicare dai segni lasciati ovunque. Non si aprono le strade abitate dai vivi, ma quelle dei morti puoi ballarci sopra. “La tomba di Anacleto dovrebbe essere laggiù!” indica il pittore accelerando il passo, la raggiunge in men che non si dica. Prima che possa seguirlo un rumore inaspettato dietro una lapide mi raggela il sangue nelle vene, passi leggeri fanno eco dalla parte opposta. “Chi è là?” mormoro intimorita, nel voltarmi perdo gli altri di vista ritrovandomi completamente sola nella parte bassa del cimitero. Vedo un’ombra saltellare nell’oscurità, sparisce dietro una siepe. Un’altra si dondola da un ramo. Sono in tanti, ridono. Si nascondono come topi. “Di qua” sibilano, come la mattina precedente nel bosco, “Di qua!”. Vorrei urlare ma non farei che attirare l’attenzione. Sono ricercata per omicidio. Inutile scappare, si muovono con l’agilità d’un bambino che gioca. Mi sento circondata, anche se nessuno m’ha aggredito apertamente o sembra aver intenzione di farlo. In fondo al viale ne scorgo uno più grosso degli altri, l’aspetto è proprio quello descritto nei racconti. Strane parole mi rivolge in una lingua che non riesco a identificare con precisione; il terrore impedisce qualsiasi movimento, provo a chiamare i miei compagni ma non rispondono, forse non riescono a sentirmi? Da ogni parte ne vedo sbucare, impossibile contarli anche perché si muovono continuamente. I giganti non fanno paura, ripeto a me stessa; folletti, spiriti dell’oltretomba e fate del bosco, sono solo il frutto delle nostre paure, inutili superstizioni. Per un breve istante penso a uno scherzo di cattivo gusto, quand’ecco una potente voce maschile tuonare alle mie spalle: “Siate maledetti! All’inferno!”.
Mi volto di scatto, entra in scena il prete Don Ignazio Minestrina col suo lungo naso a punta che svetta come obelisco sul volto incavato dalle privazioni della sua mistica ascesi, in piedi al cancello d’ingresso colle gambe larghe. Ha in mano un incensiere, porta con se un’anziana inserviente cogli stivali fino al ginocchio bastone in pugno e coltello fra i denti; l’uomo avanza a grandi passi fra i rami torti venendomi incontro, agita la coppa del fumo tutt’intorno recitando frasi incomprensibili, appena s’imbatte in loro li prende a calci urlando come un ossesso: “Via di qua! A casa, brutti diavoli!”. Non apprezzano l’odore dell’incenso e ancor meno il bastone della perpetua, in pochi minuti le belve spariscono nell’oscurità della notte. Siamo rimasti soli. Asfodelio e Veneranda non si vedono più. Don Ignazio prende un lungo respiro: “A quest’ora non è luogo adatto a una signora” mi rimprovera bonariamente, “Che siete venuta a fare qui?”. Non lo ascolto, il corpo non risponde alla mia volontà. Lui segna la mia fronte, poi mi stringe in un caloroso abbraccio finché non ritrovo la calma e torno a muovermi. “Due persone erano con me” dico. “Impossibile”, risponde. “Non ho visto nessun altro in giro, oltre a quei dannati. Vi vedo scossa dall’evento, mi sentirei più tranquillo se voleste accettare la mia ospitalità stanotte”. L’alta e snella figura del religioso sovrasta i miei occhi smarriti, i compagni senz’altro devono essersi dileguati non appena han sentito i rumori, forse temono d’essere coinvolti nelle indagini e m’aspettano là fuori da qualche parte sulla via del ritorno. O forse no. Nelle condizioni in cui mi trovo, non posso rifiutare una mano tesa in segno d’aiuto. “Ve ne sono grata” rispondo. (Continua a leggere)
ROMANZO NOIR ITALIANO
DOWNLOAD EBOOK
Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.