Due luoghi comuni sulla P2

 

Due luoghi comuni sulla

Loggia massonica P2

 

Un complotto all’italiana?

Si tende a parlare della loggia P2 come di un mistero all’italiana fatto di congiure e complotti, intorno al quale ruotano le pagine più inquietanti nella storia del dopoguerra; questo è in parte vero, lo confermano le relazioni parlamentari della Commissione Anselmi da cui sono state tratte pubblicazioni ormai note. Lo scandalo percorre l’Italia e non solo, dato che questa setta criminale era molto attiva in America Latina e operò in collaborazione con i servizi segreti di tutto il mondo; non mancano le domande senza risposta, sappiamo che la massoneria è sempre stata per tradizione democratica e antifascista mentre le attività illegali della P2 furono di stampo eversivo e revanscista, quindi in contraddizione con la casa madre, d’altro canto però non risulta alla magistratura che vi sia stato mai uno strappo vero e proprio. Polemiche, nessun atto di ripudio formale; o meglio una parte della massoneria chiese l’espulsione di Licio Gelli per i suoi trascorsi fascisti, ma pare che anziché scacciarlo finirono per promuoverlo direttamente dalla base al vertice della gerarchia. Si deve peraltro constatare la difficoltà nel ricostruire le vicende interne a un ambiente in cui per statuto il confine tra pubblico e privato è difficile da tracciare.

 

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La loggia propaganda.

Non è un’invenzione di Licio Gelli come alcuni pensano, ma costituisce da sempre un organo essenziale dell’apparato massonico nel quale si raggruppano le liste dei fratelli in posizione riservata, sui quali cade il vincolo del segreto più assoluto. La sua prima fondazione risale al 1877, ne han fatto parte personaggi come Giosuè Carducci, Francesco Crispi, Aurelio Saffi; il nome stesso indica un progetto d’infiltrazione che la massoneria aveva attraverso il controllo del sistema educativo, l’attività intellettuale e i mezzi d’informazione. Dopo lo scioglimento delle società segrete avvenuto nel 1925 per volontà del partito nazionale fascista, la sua ricostituzione successiva col nome di Propaganda Due restò alle dipendenze del Gran Maestro fino al 1970 per poi cadere in mano a un faccendiere neofascista in collaborazione coi servizi segreti. Nel dopoguerra Licio Gelli, già volontario nelle SS complice in numerose azioni criminali, poté mettersi pacificamente nell’industria tessile toscana che gli servì da copertura per attività illecite di vario genere nel mondo, dal contrabbando di sigarette a quello degli stupefacenti e delle armi. La restaurazione dei poteri dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, aveva portato negli anni ’50 all’assoluzione dei criminali di guerra, molti di loro continuarono a operare indisturbati in Sud America, in Africa, dove nei decenni seguenti cooperarono con lo spionaggio internazionale. Lo stesso Gelli si trovò implicato nelle vicende di Peron in Argentina, Pinochet in Cile, nella tragica e cruenta pagina degli squadroni della morte; numerosi teorici e mistici del nazismo scampati alla giustizia di Norimberga si ritrovarono a propagandare e organizzare la loro follia genocida tra le popolazioni locali africane, creando il presupposto per le orribili mostruosità poi verificatesi in Ruanda, Somalia, Uganda, Congo, Sudafrica. Quell’attività era per noi lontana, suonava innocua ma il serpente non era morto, stava solo deponendo le sue uova.

 

Il fascismo nel dopoguerra.

La mancata decostruzione della rete economica e sociale che aveva sostenuto il fascismo in Italia è cosa ormai nota, l’assoluzione dei gerarchi, il loro inserimento nei posti chiave della neonata democrazia venne più volte denunciata negli anni a venire sia dalla magistratura che dalle aule del Parlamento; nel clima di sostanziale restaurazione avvenuto sin dai tempi del governo Scelba l’attività dell’eversione trovò un terreno quanto mai fertile, non è mai realmente scomparsa: quadri dell’esercito e dell’amministrazione borghese sono rimasti per buona parte al loro posto, lo stesso clero ha avuto rapporti economici e finanziari con la criminalità organizzata al cui interno si muovevano in silenzio le società segrete riorganizzando i delinquenti comuni in forme associative subito inquadrate nello scacchiere cospirativo della guerra fredda, questo fenomeno era già chiaro fin dalla strage di Portella della Ginestra. Non dimentichiamo che la contrapposizione dei blocchi giustificava allora per alcuni qualsiasi machiavellica brutalità, proprio questo offrì a personaggi come Gelli, Sindona, Musumeci e altri l’opportunità di tessere le loro trame. La Commissione Anselmi dimostrò come la banca vaticana fosse in relazione con le molteplici realtà coinvolte nel progetto d’infiltrazione messo in opera dalla P2, realtà fra loro molto diverse; persino l’attentato al papa Giovanni Paolo II compare nelle indagini sui complessi rapporti fra lo IOR e la malavita neofascista.

 

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Il vescovo Marcinkus

 

Il Partito Comunista Italiano

Nella ricostruzione delle vicende legate alla loggia massonica P2 manca tuttavia un attore quanto mai importante, il popolo italiano: quando si parla infatti di eversione fascista, terrorismo nero, brigate rosse, stragi di strato, l’idea di un Partito Comunista in odore di governo viene ricollegata per lo più alle scelte di personaggi illuminati come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, come se il potere politico risiedesse allora nel partito in quanto istituzione, non nei cittadini che vi si aggregavano intorno; il popolo interviene solo come attore inconsapevole, disordinato. Quel che si dimentica è la capacità d’autogestione che la maggioranza degli iscritti al partito avevano dimostrato in quegli anni: il P.C.I. poggiava in realtà sopra una base di partecipazione allargata alla vita politica in ogni campo, dal semplice volantinaggio all’organizzazione di eventi culturali, alla trasmissione dei valori antifascisti in ogni campo della vita pubblica e privata. Tutto questo avveniva nella libera associazione dei cittadini, nelle case del Popolo, nei comitati locali e nell’aggregazione spontanea delle feste; la forza d’un proletariato cosciente era proprio nella capacità di organizzarsi, il partito fu per molti anni espressione d’una volontà allargata. Le riprese di allora mostrano folle oceaniche riversarsi nelle piazze gremite di bandiere, pensare che fossero tutti potenziali terroristi è inverosimile: il pericolo rappresentato da un partito così vivace, propositivo e ben costituito al suo interno, si scontrava con la strategia della guerra fredda che vedeva l’Italia schierata nel blocco Nato e dunque in posizione antisovietica.

 

Oltre Licio Gelli

Per questo venne giocata la pedina dell’eversione nera e per questo si fatica a sciogliere il mistero dei mandanti nelle stragi di stato, ecco forse il più pericoloso luogo comune sulla loggia propaganda: la verità è che Licio Gelli non nasce dal nulla, a dargli sempre maggiore autonomia fu il Gran Maestro Lino Salvini allievo e continuatore dell’antifascista Giordano Gamberini un socialdemocratico. Per decenni la borghesia ha finanziato e promosso in funzione anticomunista le forze della criminalità e della lotta armata proprio com’era avvenuto nel decennio fra il 1915 e il 1924, quando la polizia disarmava gli Arditi del Popolo e sosteneva i fascisti come strumento per reprimere l’organizzazione dal basso delle forze popolari. Pensare che lo scandalo P2 possa dirsi concluso con lo scioglimento della loggia e la fine del suo maestro venerabile, è un’illusione: Gelli e Sindona furono a loro modo strumenti, assolto lo scopo vennero messi da parte e neutralizzati. Il risultato delle bombe nei treni e delle stazioni saltate in aria, l’incubo degli anni di piombo, doveva essere quello di allontanare il popolo dalla politica attiva trasformando partiti e sindacati in organi burocratici senza più la forza di un’autentica partecipazione dal basso. In questo, il golpe borghese ha vinto. Dieci anni dopo la strage del 2 agosto a Bologna, un membro della P2 di fatto prende il potere attraverso l’uso sconsiderato e criminale della propaganda, controllando l’informazione, instaurando una dittatura strisciante che per vent’anni ha mantenuto il controllo senza nessun tipo di opposizione dal basso. Appena qualche scoordinata protesta da rappresentanti di partito incapaci di qualsiasi azione concreta.

 

Superare il complottismo

Questo il secondo luogo comune intorno alla P2: non rappresentò solo il disegno criminale di un’elite sostenuta da servizi segreti o società teosofiche ‘deviate’, non fu nemmeno una semplice strategia della tensione per contenere il pericolo comunista nel quadro della guerra fredda. Fu in senso molto più ampio un’operazione consapevole, meditata a fondo, costruita ad arte da chi aveva interesse a esautorare la politica, disperdere il popolo, spingerlo a chiudersi in casa narcotizzandolo attraverso un uso spregiudicato dei mass-media; le scelte sciagurate della massoneria di allora sono il riflesso di una borghesia italiana che affidò la tutela dei propri interessi privati al protezionismo della criminalità e fu connivente con quel modello di società corporativa, clientelare, familistica alla base dello stesso fascismo, rendendosi complice in questo processo. Vent’anni di partito-azienda sono il risultato di un’operazione riuscita, ridurre la vicenda della loggia massonica Propaganda 2 a un mistero non risolto è riduttivo, superare il complottismo vuol dire in primo luogo ritrovare fiducia nel ruolo delle classi subalterne rispetto alla storia del progresso civile; stare a guardare, maledire l’infamia dei feroci e sanguinari terroristi, non serve a costruire un mondo migliore. Si deve piuttosto uscire dallo stato d’incoscienza prodotto dal crollo delle ideologie, ritrovare dignità come forza motrice dell’evoluzione: studiare, perché i figli del presente avranno bisogno di tutta la nostra conoscenza, è indispensabile dunque insegnar loro a organizzarsi e non subire passivamente il peso del cielo sulle proprie spalle.

 


 

Federico Berti

UTOPIA

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