Come smontare una teoria del complotto.
Teorie del complotto
Come riconoscerle e difendersi
La manipolazione dell’informazione
Le fantasie cospirative han consegnato l’Europa in mano alla criminalità organizzata e alla parte più retriva del clero nella prima metà del XX secolo, allora il capro espiatorio venne identificato nell’ebraismo internazionale e nella minaccia comunista, ma il procedimento logico a cui si perveniva era lo stesso delle bufale moderne. Il complottismo non segue una logica razionale ma cerca piuttosto l’adesione incondizionata e quindi non serve smentirlo, dimostrarne l’incoerenza rafforza al contrario il pregiudizio che vi si coagula intorno. La reazione più diffusa e forse anche la più istintiva sarebbe quella di affrontarle sul piano della ragione, del buon senso, della dimostrazione logica, ma purtroppo non è quello il loro punto di forza: se da un lato la nozione di realtà viene rinegoziata giorno per giorno, se questo parziale ‘relativismo’ della conoscenza offre il fianco alla speculazione sofistica, alla manipolazione e in ultima analisi, alla menzogna sistematica, è del resto anche necessario a non ricadere nella trappola del pensiero unico, del dogmatismo fine a sé stesso. Alla molteplicità delle prospettive, conseguenza del limite umano alla comprensione del mondo, non si può rinunciare. Dal momento però che la forza delle teorie cospirative è nel potere della suggestione, su quel terreno vanno combattute.
Apocalittici e integrati
La smentita d’una teoria del complotto non può passare attraverso un’illuministica distinzione del vero dal falso perché la sua credibilità non si fonda sulla nozione di verità ma comporta piuttosto uno schieramento, una più o meno consapevole militanza, l’indisponibilità a rinunciarvi può spingersi fino all’aggressione fisica: non è una convinzione profonda, ma un’adesione incondizionata. Anzi, proprio il più tenace degli apostoli cospirazionisti è di solito anche pronto a invocare la morte delle ideologie, sbrigativamente liquidate come illusorie e ingannevoli; come vedremo, è proprio il rifiuto della sovrastruttura a lasciare campo aperto alle più terrificanti manie di persecuzione, su cui fa tradizionalmente leva l’autoritarismo: possiamo ragionare sopra una notizia discutendo per giorni senza pervenire a un risultato soddisfacente, l’avvocato del diavolo troverà sempre un punto debole nel nostro punto di vista e continuerà a portare avanti una disputa infinita, paralizzando l’azione. La teoria del complotto non si smentisce sul piano teorico, ma nell’applicazione pratica; è qui che interviene la cosiddetta ‘ideologia’, con la quale non intendiamo un mito dogmatico ma una riflessione approfondita sull’idea in quanto tale.
Le ideologie sono pericolose?
Se ne parla talvolta senza nemmeno sapere cosa sono, in realtà un ‘discorso sull’idea’ non è altro che lo studio del fondamento alla base del costrutto simbolico, permette di identificare l’azione verso cui tende, la tradizione in cui si inscrive; la sua elaborazione coinvolge ogni aspetto del sapere dall’intuizione teorica all’applicazione pratica, fino alla sua divulgazione attraverso l’arte, la letteratura, il mito. Questo di per sé non è dannoso, anche se l’applicazione pratica può non essere sempre coerente col disegno che la ispira. Nessuna ideologia si può costruire però sulle nuvole, ma sempre mettendo le radici in esperienze passate, per questo motivo è possibile sabotarne l’applicazione o indebolire la convinzione con cui viene sostenuta, ma non la si può radere al suolo perché il suo fallimento sta nell’azione, mai nel principio che la muove: le idee non sono buone, né cattive, sono semplicemente idee. Per questo un’ideologia non può essere pericolosa quanto può esserlo l’abuso che se ne fa, come dire la morte non è buona o cattiva, è la morte.
Le idee non si smontano.
Una teoria del complotto mira a destabilizzare, decostruire, sollevare, non propone un modello di società concreto, un’azione reale diversa dalla cieca rivolta contro un non meglio identificato potere, questo la rende manipolabile. Diverso è ricondurre la realtà a un modello culturale. Che esistano società segrete, criminalità organizzata, che le guerre vengano combattute sul piano dell’infiltrazione e dello spionaggio, è scritto nei libri di storia, nei manuali di arte della guerra, nei corsi di comunicazione per le aziende; se esiste una teoria della manipolazione mediatica è ingenuo pensare che non ne esista anche un’applicazione concreta, il problema quindi non è tanto nell’analisi, quanto nella sintesi. Non serve smentire o confermare una teoria del complotto. Le idee non si smontano, si scelgono. La sola opportunità che abbiamo di metterle alla prova è sottrarle all’indeterminazione del condizionale e portarle nel presente, passare dalla teoria alla prassi, dal pensiero all’azione, dalla parola al fatto. Schierarsi. Questo il modo più semplice per difendersi da una teoria del complotto, smettere di parlarne.
Lo scetticismo del Cicap
Se da un lato lo studio sulle leggende metropolitane e la ricerca d’un fondamento razionale alla loro formazione ha dato negli ultimi quindici anni un contributo importante al folklore e all’antropologia culturale, dall’altro il rifiuto a priori della sovrastruttura intellettuale ovvero la delegittimazione delle ideologie, ha messo talvolta in contraddizione alcune delle campagne. Dimostrare la riproducibilità in laboratorio d’un manufatto come la Sacra Sindone ad esempio non ha diminuito la fede nella reliquia, semmai si può dire l’esatto opposto: la credibilità non risiede nella sua storicità, ma nella sua potenza simbolica. Di fronte a un atteggiamento di questo tipo è vano qualunque appello al buonsenso, non si può che opporre all’irrazionalismo complottista una presa di posizione, pur suscettibile di approfondimento, la cui elaborazione storica è avvenuta nell’arco di generazioni: frasi come la religione è l’oppio dei popoli, il commercio delle reliquie è una bestemmia, il sudario di Cristo un feticcio e così via, sono in realtà un antidoto potente contro la guerriglia psichica dei cospirazionisti; non mettiamo in discussione l’atteggiamento del credente né lo scetticismo del materialista, ma il terreno su cui si svolge il confronto. Ovviamente questo non toglie la necessità di riflettere criticamente, ma in altra sede.
Non esiste una sola verità
Pervenire a un’informazione sufficientemente documentata è impossibile, non possiamo verificare l’attendibilità dei comunicati stampa, anche supponendo una trasparenza dei media non ne avremmo nemmeno il tempo, si può solo constatare la falsificazione d’un video, prendere atto delle contraddizioni. La mancanza di personaggi chiave, testi di riferimento, avanguardie intellettuali in tutte le agitazioni popolari degli ultimi vent’anni, non autorizza a postulare una cospirazione segreta per la destabilizzazione politica del mondo, ma obbliga lo stesso a porsi delle domande. Lo strumento ideologico permette di ricostruire qui e ora lo schieramento delle forze, quale visione del mondo le parti in conflitto portano avanti; ascolteremo le interviste, ricostruiremo la tradizione da cui proviene questo o quel capo di stato, scopriremo che il conflitto reale è sempre intorno alla privatizzazione delle risorse pubbliche: petrolio, gas, grano, carbone o altri beni materiali. Sulla base di queste considerazioni, imposteremo le successive domande.
La coscienza politica.
Più che un’improbabile verità, nell’informazione conta essere credibili. Non è credibile un governo che denuncia i crimini del totalitarismo e poi nega ai suoi cittadini libertà di stampa, assistenza sanitaria, previdenza sociale, che toglie persino la pensione alle vedove reprimendo nel sangue il dissenso. Queste le contraddizioni su cui riflettere. Prima del governo altrui è al nostro esecutivo che dovremmo pensare: su questo piano si combatte il complottismo, il piano della scelta. Lo schieramento aperto. Non possiamo farlo senza una chiara idea del mondo che vogliamo, del processo lungo e doloroso necessario a conseguirlo e la responsabilità di difendere la libertà una volta conquistata. Al potere occulto dell’ebraismo internazionale sostituiremo allora quello manifesto d’un sistema finanziario che cospira contro sé stesso, cui soltanto una coscienza politica diffusa e un’attitudine alla cooperazione può realmente opporsi. Il resto sono favole per qualunquisti.
Federico Berti
UTOPIA
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