Chinchineros e organilleros. Suonatori ‘alla genovese’ in Cile. Erano italiani.
Cinchinneros
Tratto da Federico Berti
“Gli artisti di strada
non sono mendicanti”
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Tratto da F. Berti
Gli artisti di strada non sono mendicanti
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Sono considerati un patrimonio culturale internazionale. L’invitano a suonare in tutto il mondo, anche nel nostro Ferrara Buskers Festival, svolgono di fatto il mestiere dell’ artista di strada lavorando sia con la raccolta delle offerte nel cappello, sia con la retribuzione a servizio nelle feste pubbliche e private. Vendono giocattoli realizzati a mano per lo più da loro stessi, raramente si muovono da soli: è un mestiere trasmesso di padre in figlio da diverse generazioni.
Oggi si vedono anche molti bambini esibirsi con la caratteristica batteria portativa realizzata secondo regole condivise: una semplice grancassa, un charleston azionato da un solo cavo al piede destro, nessun rullante né piatti o altre percussioni legate al corpo. Le vecchie generazioni di Chinchineros ancora portano il triangolo musicale montato sul tamburo, ma sembra che la maggior parte stia abbandonando anche quello. Assenti persino le meccaniche dei battenti, sostituite da lunghe bacchette portate a mano e suonate all’indietro, senza guardare. Minimale, asciutto, leggero.
Nelle occasioni importanti o nelle grandi piazze indossano un costume identico per tutti, cappello camicia gilet pantalone e scarpe da ballo, cambiano solo i colori delle famiglie e qualche ornamento, ma si esibiscono anche in contesti meno formali dove l’abbigliamento passa in secondo piano; quel che rimane davvero impresso nel loro linguaggio è la varietà dei ritmi accompagnata da passi eseguiti con disinvoltura e rapidità. Disciplina al limite della pratica circense dove il suonatore-danzatore spinge il proprio virtuosismo a un alto livello di specializzazione. E’ opinione diffusa che l’arte dell’ uomo orchestra moderno abbia risentito della loro influenza, come vedremo il discorso è più complesso di quanto non sembri.
BOMBEROS E ORGANILLOS A MANOVELLA
Un tempo li chiamavano semplicemente ‘bomberos‘ ovvero suonatori di tamburo. Non ballavano, ma accompagnavano la musica degli organillos a manovella importati dall’Europa verso metà dell’800, quando il Cile richiamò immigrati dal continente dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Spagna. Gli organetti di Barberia, così detti dal nome dell’italiano che li aveva inventati, erano inizialmente strumenti a rullo che potevano eseguire un massimo di otto brani musicali diversi, venivano costruiti in quella regione che si trova al confine tra Germania, Francia e Svizzera. L’etnomusicologo Agustin Rutz ricorda che verso la fine del XIX secolo il 70% dell’economia a Santiago del Cile e in Valparaiso era controllata dagli italiani, Liguri per la precisione. Per le strade si suonava ‘alla genovese’.
La famiglia Lizana mantiene ancora oggi viva la tradizione degli organi portativi, che non è solo in grado di suonare, ma anche di costruire a riparare.
Noi sappiamo che in Italia sull’Appennino fra Liguria ed Emilia intorno al passo della Cisa, nella Valle del Taro, è localizzato uno dei luoghi da cui per quattrocento anni sono partiti suonatori ambulanti recandosi in tutto il mondo portando scimmie ammaestrate, pappagalli e oroscopi della fortuna, orsi ballerini, cantastorie col tamburo sulle spalle. E’ noto che proprio quegli emigranti, partiti da Genova a metà del XIX secolo e diretti in Argentina, Brasile, Perù, Cile, si diffusero in tutta l’America Latina. I Mapuche discendenti degli Inca erano stati quasi completamente sterminati, o costretti a vivere nelle regioni montane; pare tuttavia che nel periodo di maggior influenza franco-italiana ovvero al tempo del regno di Auricania, vi furono tentavi di convivenza pacifica tra popoli originari del posto e immigrati dall’Europa.
Riassumendo, la tradizione dei suonatori ambulanti italiani ha trovato in Cile un terreno favorevole e per quasi cent’anni gli organetti di Barberia sono stati accompagnati dal suono del tamburo portato in spalla. In quel periodo l’aspetto coreutico era secondario, il suono delle percussioni rimaneva sempre un poco al di sotto della musica suonata dalle canne dell’organo a manovella, vero protagonista della scena. Non li chiamavano ancora chinchineros.
L’AVVENTO DEI MASS MEDIA
Fino a quel momento le famiglie che avevano acquistato gli organillos dai franco-tedeschi, s’erano specializzate anche nella manutenzione e successivamente anche nella costruzione di quelle macchine tanto complesse; nel frattempo i rulli erano stati sostituiti da spartiti in carta forata e questo aveva ampliato notevolmente le potenzialità dello strumento, introducendovi le novità musicali del tempo.
Avvenne poi verso metà degli anni ’30 che la diffusione della radio, il grammofono e più tardi la televisione, portassero a una generale decadenza della musica meccanica riprodotta dagli organi portativi e questo mise gli ambulanti di fronte a un problema da risolvere, se non volevano scomparire. Fu allora che per compensazione venne dato sempre maggiore spazio al tamburo e al linguaggio del corpo in movimento. Come ricorda il musicologo Juan Pablo Gonzàles l’arte dei chinchineros come li conosciamo oggi nasce proprio allora, il ballo dei suonatori è di fatto un’invenzione coreografica nella quale trovano posto i passi del valzer, del tango, ma anche il foxtrot, la cuenca e altre danze più recenti; fu Hector Lizana a introdurre per primo l’innovazione.
Col passare degli anni le movenze divennero sempre più veloci e figurate sviluppando quell’articolato e potente repertorio degli artisti di strada contemporanei, conosciuti in tutto il mondo per queste forme di intrattenimento dal forte impatto visivo, oltre che musicale. Un’evoluzione di successo, perché radicata in una costante pratica del territorio.
Chinchineros oggi, come si può vedere l’aspetto coreutico ha preso il sopravvento su quello musicale, l’organillo e il canto in questo video sono assenti, la danza è altamente specializzata, quasi acrobatica.
GLI ANNI RECENTI
Questi suonatori ambulanti sono stati oggetto di repressione, in particolare durante la sanguinaria dittatura di Pinochet è più volte avvenuto che fossero scacciati dalle piazze, così anche nei primi anni del nuovo millennio. Per quanto ne sappiamo i grandi spettacoli di piazza, con le loro vistose evoluzioni acrobatiche, non hanno messo in ombra le forme più tradizionali dell’espressione che un tempo caratterizzava queste famiglie d’arte, si continuano a vedere batterie portative accompagnare il canto e la musica popolare, cosa che non porta soltanto all’assimilazione passiva di uno spettacolo, ma anche alla trasmissione di parole e idee
Lo stesso motivo per cui i suonatori venivano scacciati dalle piazze italiane al tempo in cui si esibivano insieme ai cantastorie, un connubio di musica, danza e poesia radicato nella vita sociale di intere comunità e per questo motivo ragione di sospetto. Gli stessi portatori di Chin-chin invitati a suonare in Europa hanno incontrato difficoltà nel libero esercizio, scontrandosi più volte con l’ordine pubblico. Nel loro paese, continueranno ad essere liberi di suonare fino a quando la loro arte saprà adeguarsi al tempo che passa. Come tutte le tradizioni.
Federico Berti è dal 1994 artista di strada, one man band, compositore e scrittore. Segue da circa vent’anni le vicende legate al codice etico della street art, ha pubblicato su questo tema un lungo saggio, Cantastorie fra educazione e intrattenimento, Udine, Nota, 2011, e il più recente Gli artisti di strada non sono mendicanti. In questa rubrica online prosegue la sua ricerca e la militanza per un’arte di strada libera e consapevole.
Tratto da Federico Berti
“Gli artisti di strada
non sono mendicanti”
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