Sono un uomo libero. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.24
Sono un
uomo libero
Framm.XXIV
Commento musicale
F. Moro “Libero”
FAI PARTIRE LA MUSICA
NON FARTI ILLUSIONI.
Milioni di poveri cristi si svegliano ogni mattina alle cinque per andarsi a rinchiudere come galeotti nelle fabbriche incalzati dal caporale di turno, se vogliono poter sedere ogni tanto al tavolo di questo caffè devono sputare sangue tutto il giorno alla catena di montaggio. Schiavi senza midollo pensano alcuni tra quelli che conosco, meno male io si che sono un uomo libero. Si, libero di sciare, cantava Amodei. Mentre mi servono la birra, sulla sedia accanto alla mia compare un’altra volta il burattino d’ossa che mi stuzzica da qualche tempo, avvolto nel suo scuro mantello; di solito parla pochissimo, stasera è odiosamente loquace. Quando lo vedo mi torna in gola il pranzo degli ultimi tre giorni, tossisco vagamente contrariato e sbuffando avvicino il boccale alle labbra.
“Non farti illusioni” dice. “Un giorno il poema della tua vita alle radio non interesserà più. Perché mai dovrebbe far notizia uno che parla solo di sé stesso?” Lo guardo con stupita deferenza, il vecchio Caronte osserva divertito la mia reazione, “Guardati intorno” prosegue, “Sarai libero forse di trovarti un parcheggio! Gli rovescerei la birra in testa se non dovessi pagarla. “Chi manda avanti la baracca, intanto che tu ti diverti nel paese dei balocchi? Loro, gli schiavi per cui suoni”. Se non la smette gli stacco la testa dal collo. Con quella faccia da morto il pusillanime prosegue senza notare le mie dita che tamburellano sul tavolo. “Te ne vai a spasso nella casa mobile, evadi il suolo pubblico, il diritto d’autore, alla fine dell’anno richiedi persino indietro quelle ritenute d’acconto che qualche piccolo imprenditore strozzato dai debiti ha pagato per te. Quando sarai vecchio riceverai una pensione minima per la quale non hai versato dieci lire contributi, cosa dai tu alla società? Pensi d’aver sconfitto la macchina del capitalismo, tu? Proprio tu, che ne sei l’espressione più compiuta? Tu che incarni lo stereotipo del self made man all’americana? Un giorno t’accorgerai d’esserne stato l’ingranaggio più inutile.
DUE CENTIMETRI
DAL FINESTRINO
Non lo sopporto quando fa così, lo prenderei a sberle se non fosse un’ombra senza corpo, mi prenderebbero per matto a menare schiaffoni contro l’aria qui dentro nel locale. Caronte lo sa bene e continua a provocarmi, vuol sapere chi m’ha insegnato, come l’ho imparato, che domande gli dico allora: in un paio d’anni chiunque può raccogliersi una folla, non serve uno che t’insegni, basta guardarsi intorno e vedere come fanno gli altri. Ovvio, non ti pare? Cominci con poco, poi cresci, sviluppi. Caronte sputa per terra. “Qui ti volevo. Usa il cervello adesso, mettiti nei loro panni. Che valore può avere quel che fai per loro, se tutti possono impararlo senza difficoltà? E’ una domanda cui non avevo pensato. Prende un lungo respiro il grillo parlante, vuol darsi un tono, mi ruba una sigaretta e se l’accende soffiandoci sopra, ho una gran voglia di spezzargli le ossa, lo darei in pasto ai cani, lo darei.
“Prima di te” incalza lo spettro, “Veniva a suonare qui nel quartiere un anziano poeta di strada col cappello scuro, vendeva lamette da barba, cravatte, ombrelli, lunari, forse non l’hai notato ma si ferma sempre a guardarti mentre fai le acrobazie sulla chitarra. Gli hai portato via la gente. Mica offeso anzi, incuriosito dal tuo modo di fare si chiedeva come nessuno t’avesse ancora preso a calci. Pubblica fogli volanti da quarant’anni se l’appendono in salotto dagli Appennini alle Ande, un giorno questa via porterà il suo nome perché così è scritto nel libro del cielo. Anziché prenderti a schiaffi, ti ha dedicato una poesia.
Mentre mi parla facendo anelli quadrati col fumo stringo i denti e ingoio catarro, predicatore da tre soldi tornatene nelle fogne. M’alzo, pago la birra, esco. Lui resta immobile continuando a scrutarmi sornione dalla sedia mentre m’allontano, sputa il fumo in mille forme e colori diversi, anche dopo che la sigaretta è spenta. Si diverte alle mie spalle Carondimonio. Il carro m’aspetta dall’altro lato della strada, voglio partire subito lontano quanto posso da quella voce stridula; mentre siedo al volante, fra il tergicristallo e il parabrezza trovo uno di quei biglietti gialli colla carta carbone e il timbro della polizia municipale: ero uscito lasciando aperto il vetro a compasso e il vigile di turno mi ha fatto la multa. Ecco, la mia libertà finisce a due centimetri dal finestrino. Caronte ride.