Bibbiano e l’inchiesta sull’affido. Perché non mi convince ‘Veleno’, programma radiofonico di Pablo Trincia
Bibbiano e l’inchiesta
sull’affido
Perché non credo al Veleno
di Pablo Trincia
Articolo di
Federico Berti
Per chi non mi conosce, devo fare una premessa. Collaboro da diversi anni con il sistema sanitario nazionale, sia nel privato che nel pubblico, affiancando progetti di arte terapia e musicoterapia come suonatore, come ricercatore documentario e come organizzatore di attività culturali. Mi occupo in particolare di scrittura collettiva, narrazione e mnemotecnica. Da questa prospettiva, che considero privilegiata avendo l’opportunità attraversare più istituti in modo trasversale, guardandomi intorno da ‘esterno’ ma conoscendo caso per caso, ho potuto valutare molte situazioni diverse e mi sono fatto l’idea che si, la formazione degli assistenti sociali non è sempre adeguata. Molto spesso anzi ho notato che animatori, psicologi, lo stesso personale sanitario, non sa quello che fa, non ha le competenze per gestire al meglio le emergenze. Non è sempre così ovviamente, ma non mancano casi di gestione approssimativa nelle case famiglia, negli istituti di cura, nelle comunità residenziali. Non solo per motivi di speculazione sul disagio, a volte la stessa economia di mercato obbliga a fare i conti con l’oste: è la logica del profitto, la società del capitale e dei consumi a rendere talvolta impossibile risolvere le situazioni senza tenere conto della realtà anche politica ed economica.
In ragione di queste considerazioni preliminari mi sento di osservare che qualsiasi inchiesta sulla sanità pubblica e sul sistema dell’assistenza sociale possa partire, in qualsiasi luogo e per qualsiasi motivo, porterà sempre all’emersione dei casi limite là dove la struttura della nostra società e dell’economia che la muove, si dimostri inadeguata all’infinita varietà e alla delicatezza delle situazioni, nessuna perfettamente identica all’altra. In tutti i casi avremo l’incompetente, l’indolente, lo speculatore e magari l’idealista, il sognatore che pur di risolvere in fretta una situazione per causare minor sofferenza possibile all’assistito, cerca la strada più breve arrotondando gli spigoli del protocollo sanitario. In altre parole, l’inchiesta sul caso di Bibbiano va a scavare nel torbido di una società che non sa come affrontare il problema dell’emarginazione sociale, della devianza e delle patologie che sconfinano sempre più spesso nella violenza, nell’abuso.
L’INCHIESTA DI PABLO TRINCIA
Detto questo, e partendo comunque dal presupposto che siano indispensabili controlli a ogni livello da parte di personale preparato a valutare ogni singola situazione, pur auspicandomi un’indagine seria intorno alle anomalie rilevate sul territorio di Bibbiano (anomalie che potrebbero non essere collegate necessariamente a illeciti, ma avere anche una spiegazione diversa da quella del complottismo paranoico) l’inchiesta ‘Veleno’ non mi ha convinto. L’ho ascoltata con attenzione e continua a non convincermi, non è un’indagine approfondita sul sistema delle adozioni e sull’assistenza sociale, ma un attacco alla magistratura, la negazione di una sentenza relativa a un’inchiesta che risale a fatti di venticinque anni fa. La ricerca documentaria per questo programma, sembra condotta in modo unilaterale, ascoltando la sola testimonianza di una parte in causa. Per come la vedo, segue la logica del revisionismo storico più che quella del giornalismo d’inchiesta.
Invito in particolare all’ascolto della seconda puntata di ‘Veleno’, che trovi nella rassegna stampa di questo articolo, in cui l’autore dell’inchiesta va a intervistare la figlia di un uomo accusato di violenza sessuale aggravata sul proprio figlio più piccolo. L’uomo è morto nel carcere dov’era custodito insieme alla moglie, le accuse a suo carico sono state ampiamente documentate ma dopo vent’anni dal processo il Trincia chiede nuovamente alla figlia del detenuto se vi sia stata o meno violenza, la risposta di lei viene portata a dimostrazione che l’inchiesta va assolutamente riaperta: non conosce il principio della ritrattazione consolatoria. Nessuna valutazione sul fatto che il condannato fosse un losco individuo con precedenti, preso in carico dai servizi sociali proprio per le violenze contro i propri stessi congiunti e che la sua condanna avesse retto a tre gradi di giudizio. L’inchiesta arriva a postulare niente meno che una strage d’innocenti, sostituendosi alla magistratura sulla base di poche testimonianze unilaterali.
L’INFORMAZIONE NON E’ SPETTACOLO
Pablo Trincia considera probatoria di un’anomalia giudiziaria una testimonianza che nessun pubblico ministero potrebbe considerare come tale agli atti di un processo. Molte sono le ragioni per cui una persona può negare le violenze subite, tra cui un meccanismo di ricostruzione della realtà che è perfettamente naturale. Consolatorio per sé stessi. Quante donne difendono i loro molestatori o si sentono addirittura colpevoli del ricatto sessuale subito, quante persone tacciono per l’umiliazione di dover raccontare quel tipo di esperienza condividendola in pubblico? Lo sappiamo bene quanto siano delicati questi argomenti, ma nell’inchiesta ‘Veleno’ tutto questo sembra non avere alcun peso. In altre parole, l’autore affronta un tema delicato come l’abuso e la violenza domestica, senza avere la preparazione per comprenderlo. Il programma confonde l’informazione con lo spettacolo, è più interessato allo scoop e al sensazionalismo che alla ricerca della verità. E’ nello stile delle Iene, più volte al centro di scandali in passato per aver contribuito alla propagazione di fake news.
Come si può verificare nella rassegna stampa di questo articolo, il centro studi Hansel e Gretel di Moncalieri è stato per più di un anno il vero oggetto dell’inchiesta ‘Veleno’, tanto da sentirsi nella condizione di dover rispondere alle accuse indirette del giornalista. Fin dall’inverno del 2018 l’associazione di psicologi, ricercatori e assistenti sociali, ha dovuto chiarito la sua posizione, inutile dire che proprio sulla base delle affermazioni contenute nel programma radiofonico è stato necessario avviare una serie di verifiche, a partire dalle quali era inevitabile che emergessero delle situazioni ‘borderline’. Una nuova inchiesta. Per fortuna la magistratura non si sta muovendo con la stessa superficialità mostrata dall’autore del programma e dalle forze politiche che lo spalleggiano in questi giorni. La giustizia è consapevole della delicatezza con cui certe situazioni vanno valutate individualmente, tenendo presente anche di quelle informazioni tutelate dal diritto alla riservatezza, che il giornalista ha dimostrato non solo di non conoscere, ma di non aver nemmeno preso in considerazione.
FAKE NEWS E PROPAGANDA
A pochi giorni dall’apertura della nuova inchiesta sui fatti di Bibbiano (che si sta svolgendo proprio nello stesso territorio, tra la bassa modenese e l’appennino del reggiano, in cui si erano svolte le indagini sulle violenze degli anni ’90), gran parte delle accuse pare siano già cadute, vale a dire nessun elettroshock sui bambini, nessuna manipolazione, forse qualche disinvoltura nell’assegnazione degli appalti, forse qualche corsia preferenziale nell’affidamento o nell’adozione che però va esaminata caso per caso, dal momento che non conosciamo le situazioni di provenienza e non possiamo giudicarle senza una ricerca approfondita. Il sito del centro studi Hansel e Gretel non è stato posto sotto sequestro e nemmeno quello dell’associazione coinvolta nel processo di vent’anni fa. Le famiglie affidatarie sono sconvolte e nello stesso tempo sorprese da queste indagini, che porteranno forse a qualche condanna per piccoli illeciti, ma non certo al polverone che i mass media hanno sollevato in questi giorni. Può sembrare un paragone fuori luogo, ma a me questa vicenda non suona molto diversa dal processo politico a Mimmo Lucano.
E’ precisamente qui che il programma di Pablo Trincia mostra la sua maggior debolezza. L’indagine da lui rimessa in discussione si era conclusa nel 2014 dopo vent’anni e tre gradi di giudizio, dopo aver dimostrato che abusi sessuali in famiglia erano avvenuti veramente, in qualche caso coinvolgevano anche una parte del clero e qualcuno provò a depistare le indagini deviandole sulla traccia satanista, che però non ha portato a nulla di credibile. Nessun omicidio rituale, nessun rito nei cimiteri, ‘solo’ atti di libidine e violenze su minori. In quegli stessi anni infuriava il caso dei bambini di Satana, la setta bolognese che faceva capo a Marco Dimitri, i processi per pedofilia non portavano sempre a responsabilità dimostrate. Proprio la colonna bolognese di Luther Blisset all’epoca dimostrò il livello di follia collettiva intorno a questi temi inviando false lettere di cittadini ai giornali, nelle quali si affermava di aver trovato moccoli di candela e animali morti, lettere che venivano prontamente usate da giornalisti impreparati per contribuire al delirio mediatico, montando casi inesistenti.
“La ritrattazione è una scelta difensiva assolutamente comprensibile e addirittura necessaria per la piccola vittima, nel caso frequentissimo, in cui i bambini oggetto di maltrattamento e di abuso, dopo l’interruzione della violenza, vengono lasciati soli, non vengono accompagnati in una rielaborazione della penosissima vicenda traumatica da loro vissuta e vengono riesposti alla sfera relazionale d’influenza degli abusanti e alle loro proposte di recupero”.
Claudio Foti, ‘Rompere il silenzio’, 13 Novembre 2018, L’inchiesta ‘Veleno’: una bolla di sapone! La verità della ritrattazione.
L’inchiesta di Pablo Trincia ripercorre con la stessa ingenuità e superficialità quegli anni, rimettendo in discussione un processo durato quasi un quarto di secolo. Sulla base del suo programma è partita una nuova inchiesta che se anche non dovesse portare a condanne gravi (magari tra altri vent’anni), avrà comunque dato l’opportunità a un partito politico di aggredire il sistema del welfare e la magistratura, offendere le istituzioni democratiche, diffamare un sindaco, seminare odio e veleno a ogni livello. Il vero problema è come comportarsi adesso, dopo che il Carletti è stato definito come un orco, senza che vi fossero i presupposti per condannarlo, la società civile dovrebbe rispondere con denunce per diffamazione e richieste di risarcimento milionarie. Questa forse la sola strategia da prendere nell’immediato. Class actions giudiziarie contro l’ondata di veleno sollevata da queste forme di pseudo giornalismo, contro chiunque pratichi la diffamazione sistematica a mezzo stampa. E per diffamazione non intendo critica o dibattito politico, ma pura e semplice propagazione di false informazioni senza nessun fondamento, finalizzata alla propaganda politica. Qui potrebbe aprirsi una nuova pagina nella storia della repubblica italiana. Usiamole, le armi costituzionali. Il nemico va combattuto sul nostro terreno, non sul suo. Non perdiamo tempo a dargli corda nei social, portiamoli nelle aule dei tribunali.