Santa Klaus e il Krampus. Le vie delle fiabe

Santa Klaus e il Krampus

Contrasto dell’amore e del denaro

Tratto da F. Berti, Le vie delle fiabe
L’informazione è narrazione. Bologna, 2020

Se dietro il rogo della vecchia e la figura della Befana avevamo ritrovato ancora una volta l’eco delle guerre di religione, poprio come all’inizio del libro dietro l’apparenza dell’intrattenimento nelle raccolte ottocentesche di fiabe popolari, con la figura, altrettanto enigmatica, di Babbo Natale, la riflessione critica si fa se possibile più controversa ancora. La leggenda metropolitana secondo cui Santa Claus sarebbe un’invenzione della Coca-cola, che negli anni ’30 lo usò per pubblicizzare il suo prodotto di punta, si rivelerà nient’altro che la punta d’una montagna di ghiaccio sommersa. Anche il gigante buono che vola sulla slitta trainata dalle renne, portando i suoi ‘giocattoli’ costruiti dai nani nelle lontane terre del nord, ha il suo retroterra tradizionale e un inquietante rimando alla realtà. L’indottrinamento politico e religioso è ancora una volta sotteso a questa che ancor più nell’Italia dell’ultimo dopoguerra assumerà l’aspetto di una tipica narrazione di propaganda.

Studi molto ben documentati sulla figura di Babbo Natale sono disponibili ovunque, non è mia intenzione scrivere l’ennesima pagina-clone, vorrei piuttosto indagare su una particolare linea d’ombra, una traccia poco battuta, per mettere in evidenza la quale ho bisogno di riassumere alcuni punti essenziali. Il primo, che questo personaggio dalla barba bianca vestito di rosso viene in Italia a sostituirsi negli anni ’70 alla più tradizionale Befana, assumendo su di sé funzioni fino ad allora comunemente attribuite all’anziana donna, o eventualmente a Santa Lucia e ai nostri familiari trapassati. Il secondo è che questa figura proviene dal mondo anglosassone, si inserisce nel quadro politico ed economico della cosiddetta ‘guerra fredda’ che prevedeva l’occupazione della penisola italiana da parte degli Stati Uniti d’America sia con basi militari, tuttora esistenti e in attività, sia come nuovo mercato per l’esportazione dei prodotti materiali e della cultura immateriale. Una forma di protettorato ‘implicito’. Il terzo punto è che Babbo Natale coincide, almeno apparentemente, con un personaggio storico e se vogliamo, politico: un vescovo di Myra, diocesi bizantina sul territorio dell’attuale Turchia, le cui spoglie vennero trafugate da marinai baresi al tempo della prima crociata.

Non è molto chiaro il passaggio semantico dallo storico vescovo orientale, che secondo una leggenda prese a schiaffi l’eretico Ario durante il Concilio di Nicea, al gigante buono con residenza al polo nord che porta le strenne ai bambini buoni. Sappiamo che il culto del vescovo ortodosso vissuto all’epoca di Costantino, quando il monogramma di Cristo veniva riprodotto sulle insegne dei soldati, iniziò a diffondersi oltre duecento anni dopo la sua morte, prima nell’attuale Turchia, poi nel mondo slavo e nel meridione della penisola italiana, allora soggetta a Bisanzio. La tradizione agiografica gli attribuisce un dono alle tre figlie d’un mercante caduto in disgrazia, che non potendo permettersi una dote nuziale stavano per cadere nella miseria della prostituzione, e la resurrezione di altrettanti bambini che un macellaio assassino aveva ucciso e messo sotto sale per venderne la carne; per questo motivo San Nicola viene raffigurato a volte con tre sacchetti d’oro in mano, altre volte con tre bambini a bagno in una tinozza ai suoi piedi. Una leggenda dell’arco alpino, dove si diffonde il suo culto dopo l’anno Mille, vuole che abbia ‘addomesticato’ il Krampus, un demone notturno che si pensava entrasse nelle case dalla canna fumaria per rubare l’anima ai bambini durante il sonno. Un cacciatore di demoni quindi, simile in questo a San Giorgio e all’Arcangelo Michele, sulla cui chiesa del resto sorge il primo nucleo della sua cattedrale madre in Puglia. Sotto papa Urbano II, il culto riceve una spinta notevole dalla traslazione delle reliquie a Bari e poi a Venezia, evento complesso da leggersi nel quadro politico, economico e militare delle prime Crociate, diviene quindi protettore delle navi che partono per la Terra Santa. Durante il medioevo si rafforzerà progressivamente il suo legame con i culti guerrieri pre-cristiani cui verrà a sovrapporsi prendendo il posto del vecchio Odino, il mitico demone a capo della schiera infernale dei combattenti caduti: da quel momento in poi l’antica tradizione dei dolci e della frutta secca lasciata nella calza, passerà a lui proprio dal vecchio mago nordico.

A partire dal XVII secolo, il culto di San Nicola si troverà al centro di una violenta polemica durante le guerre di religione, quando i protestanti si scaglieranno contro il culto dei santi e delle reliquie: in quel momento il vescovo di Myra, ormai profondamente radicatosi nell’immaginario cattolico europeo, verrà additato proprio da Oliver Cromwell nel mettere a bando la festività del Natale in Inghilterra, cosa che accadrà anche fra Puritani e Protestanti esiliati nel Nuovo Mondo. Secondo la loro interpretazione ‘evangelica’ infatti, la celebrazione del Natale era una forma di idolatria pagana, per questo motivo non la tolleravano e da allora sarà più volte proibita nelle loro comunità pastorali. Ancora oggi questa polemica è viva in alcune chiese anglicane e millenariste, ne rimane a noi quel racconto straordinario che è il Canto di Natale di Charles Dickens dove il personaggio di Scrooge, benestante puritano ostile alla festa della Natività, viene abilmente messo in ridicolo: un racconto politico, tutt’altro che ‘buonista’ come il cinema l’ha voluto interpretare molti anni più tardi. Con la prima rivoluzione industriale tuttavia, quasi un’eco dell’anatema protestante, il personaggio di Babbo Natale o Santa Klaus prenderà il sopravvento sull’aspetto propriamente liturgico e finirà per essere usato addirittura come testimonial dei prodotti destinati alle strenne, cioè ai regali, configuratesi come una fiorente nicchia del mercato fino a esplodere nella società dei consumi; da cui lo sdegno dello stesso clero cattolico, nel denunciarne l’aspetto più volgare e materialista. Oggi in effetti non possiamo negare che le luminarie del Natale vengono allestite molto prima dell’Avvento, con due o tre mesi d’anticipo, quasi a voler dilatare la febbre degli acquisti per le festività imminenti.


Fin qui son cose che conosciamo bene. Se ne parla ovunque nei giornali, nelle enciclopedie, dal pulpito dell’omelia tuonano invettive e questo è in parte condivisibile, ma obbliga tutti noi a fare un passo indietro e domandarci se questa deriva sia davvero estranea al culto di San Nicola, o se piuttosto non rappresenti proprio una dilatazione di qualcosa che esisteva nella nostra mente e nel culto stesso prima della rivoluzione industriale. Pensiamo ai tre sacchetti d’oro in mano al santo, al tesoro dei Templari che qualcuno ancora sostiene fosse un tempo nascosto sotto la cattedrale del santo a Bari, la stessa manna miracolosa che si forma ogni anno nella cripta e viene distribuita ai devoti come acqua benedetta. Il leggendario schiaffo all’eretico Ario, la posizione intransigente del vescovo di Myra, le polemiche sulla religione lecita o illecita, la resurrezione dei morti e il culto degli antenati, la benedizione delle navi da guerra e delle fregate commerciali, tutto questo fa parte del culto di San Nicola che fin dal principio si diffonde proprio tra le compagnie maschili, in particolare tra soldati e mercanti. Quel che avviene con la rivoluzione industriale è un cambiamento radicale nell’economia, che dilata lo spazio vitale del commercio, della migrazione economica e delle spedizioni militari, potenziando così la stessa figura del santo.

Si deve fare molta attenzione a questo passaggio, perché il grande equivoco, l’inganno del Natale nell’era del terziario avanzato, sta proprio in questo: quando la nuova classe dirigente del clero cristiano s’è andata a sovrapporre alle religioni dei ‘falsi dèi’ pagani, ha solamente assunto il controllo delle usanze e delle tradizioni preesistenti, ponendole sotto il proprio ministero. Quindi l’ingiustizia continua a esistere come un ‘male terreno’ impotente rispetto alla grandezza del Signore Iddio, ma con un potente influsso sull’animo umano. San Nicola dunque benediva i soldati che partivano per il fronte al tempo della rivoluzione russa nel 1917, era un’ingiustizia lo sapevano anche i Pope ortodossi, ma lo Zar finanziava la Chiesa e quindi il prete non aveva alternativa. Così avviene quando San Nicola finisce sui cartelloni pubblicitari della Coca-Cola, come diciassette secoli prima lui stesso vescovo di Myra aveva posto il monogramma del suo Cristo sulle insegne dei soldati di Costantino.

Concludendo torniamo agli anni ’70, quando Babbo Natale, ovvero quel Nicola di Myra prostituito ai magnati del capitalismo e della finanza mondiale, sbarca in Italia come nuova moda importata dai figli dei nipoti dei discendenti di Charles Dickens, emigrati nel Nuovo Mondo tre secoli prima. Il patrono dell’industria culturale, di quei ‘Balocchi e Profumi’ cantati durante il fascismo, si sostituisce alla Befana, prende il sopravvento sul Presepe, introduce nuove abitudini, nuovi modi di vestire, mangiare, suonare, ballare, cantare, parlare, corteggire, fare l’amore. S’impone sopra una figura per secoli rimasta fondamentalmente estranea a qualsiasi assimilazione propriamente religiosa, ma quest’ultima non si rassegna all’oblìo e continua a persistere come tradizione parallela a quella dominante. Il conflitto fra Babbo Natale e la Befana rimane perciò un contrasto legato a due concezioni diverse del mondo, una esterofila, una più legata alle tradizioni locali. Un santo di fama mondiale, patrono dei commercianti, dei marinai, dei soldati, contrapposto all’Anziana Donatrice, il maschile contrapposto al femminile, il potere contrapposto all’amore, il grande sacco pieno di balocchi acquistati nei centri commerciali rutilanti di luminarie, contrapposto al calzino con una manciata di castagne e semi di zucca abbrustoliti. Tutto questo si gioca sulle nostre tavole durante le dodici notti del solstizio invernale, da almeno cinquant’anni. Il contrasto dell’amore e del denaro.

Il nostro viaggio nelle fiabe si sta addentrando sempre più in un labirinto dal quale sembra impossibile uscire, lo spettro della propaganda pare annidarsi ormai dietro a qualsiasi racconto, dove meno te l’aspetti sollevando il velo dell’apparenza vediamo riaprirsi vecchie ferite, che la nuova narrazione, riappropriandosi dei vecchi miti che andavano a riconfigurare controverse realtà, vorrebbero appianare. Ma il racconto stesso, in quanto tale, ne porta il segno. Nel prossimo capitolo ritorneremo sul tema della promozione turistica, le cosiddette ‘leggende’ evocate in alcune rievocazioni storiche, per renderci conto di come possa essere pervasivo questo sistema, di come cioè la manipolazione narrativa sia parte integrante della nostra vita, in ogni momento della nostra giornata, di come cioè la realtà stessa in cui viviamo non sia che il prodotto di una narrazione funzionale a un’idea del mondo al quale finiamo spesso per adattarci inconsapevolmente. O come diceva platone, continuiamo a lasciarci illudere dalle ombre sul muro della caverna, senza risolverci a uscirne per osservare gli oggetti reali che quelle ombre producono.


Tratto da F. Berti, Le vie delle fiabe
L’informazione è narrazione, Bologna, 2020


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