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Arte di strada, mindset e inclusione. Osservatorio Street-art

Artisti di strada. Mindset e inclusione.

Arte di strada. Mindset e inclusione

Articolo di Federico Berti

Gli artisti di strada non sono mendicanti

Una formazione accessibile

Il mondo dell’arte di strada continua a evolvere verso il nulla valoriale, recentemente è emerso un nuovo dibattito relativo al problema della formazione per gli artisti di strada. Quando denunciai lo scadimento di questo mondo e la riduzione degli artisti stessi a mendicanti incasellati nelle postazioni dei boulevard a luci rosse, non credevo che si potesse scendere ancora più in basso.

Siamo arrivati al punto che qualcuno propone l’idea dei corsi di busker-mindset a pagamento, sostenendo che il costo elevato garantisca una selezione di allievi più esclusiva e, quindi, più meritevole, proprio come avvine in alcuni esempi di pessimo marketing. La proposta sta sollevando preoccupazioni da parte di altri artisti, che vedono in essa una minaccia per chi promuove invece una visione più libertaria dell’arte di strada.

Verticalità versus condivisione

I più critici verso questo nuovo tipo di esperienze formative, sostengono il mindset ottimale dell’arte di strada non si possa insegnare in modo formalizzato poiché non ne esiste uno comune a tutti e generalizzabile, ma piuttosto ognuno deve sviluppare il proprio attraverso la condivisione delle esperienze e delle conoscenze. Questo approccio orizzontale permette una maggiore inclusività, evitando la discriminazione classista dei corsi a pagamento che selezionano i più ricchi, non i più meritevoli. Ha un senso (volendo) insegnare tecniche e strumenti espressivi, ma non attraverso un sistema che seleziona gli allievi in base alla loro disponibilità economica, perché questo vuol dire creare un mindset classista, non è un modo per insegnare la libertà.

Un’arte di strada classista?

Imporre un costo elevato per accedere a corsi di formazione, in qualsiasi campo ma in modo particolare nell’arte di strada, vuol dire necessariamente escludere chiunque non possa permettersi di pagarli.

Questo approccio è visto come incompatibile con lo spirito stesso dell’arte di strada, che storicamente si è sempre opposta a questo tipo di barriere sociali ed economiche. La preoccupazione principale è che la strada possa diventare un salottino per pochi self made men, un filosofia che sembra attagliarsi perfettamente alla mentalità di un Trump o di un Musk, ma che sulla strada suona ridicola per la natura stessa del cappello, che non è prevedibile né ‘scalabile’.

L’esperienza pratica

L’arte di strada richiede un profondo coinvolgimento personale e una comprensione pratica del contesto urbano, ma soprattutto è usurante sia dal punto di vista fisico che mentale: non si può valutare il ‘mindset’ di un busker prima che questi abbia attraversato le fiamme uscendone sano di mente e di corpo, ma questo può saperlo solo chi si è visto i compagni di strada cadere in depressione e suicidarsi. Questo tipo di valutazione si fa sulle lunghe distanze, parliamo di venti, trent’anni. Sono i vecchi a poterti insegnare qualcosa, lasciandosi rubare il mestiere cogli occhi, colle mani, colla bocca, con tutto il corpo. I vecchi non si fanno pagare per questo e non selezionano i loro ‘famigli’ in base al censo.

Arte di strada e inclusione

La proposta di corsi esclusivi a pagamento per artisti di strada, che selezionino i partecipanti in base alla loro possibilità di spendere, deve essere valutata con molta attenzione se non si vuole trasformare la strada nell’ennesimo black mirror del nulla che avanza: è fondamentale promuovere un’arte di strada accessibile indipendentemente dalle risorse economiche. La formazione dovrebbe mirare a potenziare le voci diverse, a garantire un’etica aperta, inclusiva, lontano da logiche mercantili e classiste. L’arte di strada dovrebbe porsi come l’antitesi del potere, una forma di resistenza culturale che di certo non si ottiene vendendo corsi di mindset per una ristretta elite.

Gli artisti di strada non sono mendicanti

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