Amur. Il confine di un genocidio.
Amur
Il confine di un genocidio
Articolo e podcast di Federico Berti
Il viaggio che abbiamo intrapreso verso l’Estremo Oriente Russo è motivato da una ricerca sul genocidio culturale dei popoli che hanno abitato per secoli le regioni della Siberia Orientale, un crimine contro l’umanità tuttora in corso. Vi sono etnie, lingue, tradizioni, che rischiano seriamente di scomparire. L’elemento che ha scatenato l’interesse iniziale per il nostro viaggio, è la scoperta di un’ideologia nazionalista nata verso la metà dell’800 che fa riferimento all’Ucraina, precisamente a un progetto di ripopolamento della regione da parte di cittadini provenienti dal confine occidentale dell’impero russo. Una colonizzazione paragonabile per alcuni aspetti a quella delle Americhe, della cosiddetta ‘Ucraina Verde‘ abbiamo parlato in altra sede e siamo andati anche a ricercare materiali su alcune tra le credenze e tradizioni locali, ma per approfondire l’argomento dobbiamo saperne di più sulla storia di quel territorio, l’Estremo Oriente Russo e la sua particolare conformazione anche geografica. Focalizzeremo per prima cosa l’attenzione sul fiume Amur, simbolo del confine tra Russia e Cina da diverse centinaia di anni. Nel XVII secolo la zona era già contesa tra Cosacchi e Manciù, lungo il fiume si era attestato di fatto un presidio di tipo sostanzialmente militare. Per capire l’importanza di questa barriera bisogna comprenderne l’ampiezza, la portata e soprattutto il comportamento instabile, incostante. Il fiume è ghiacciato in inverno, esuberante e paludoso d’estate. Per attraversarlo servono ponti, per navigarlo imbarcazioni adatte.
La città di Blagovescensk si trova proprio sulla riva settentrionale di quel fiume al centro del tratto di confine che si estende dalla Mongolia fino all’oceano Pacifico, nel punto esatto in cui lo Zeia si unisce all’Agur confluendo nell’Amur. Fondata nel 1856, la città era sorta inizialmente sopra un forte militare. Interessante il fatto che sull’altra sponda si affacci la città cinese di Aihui nella contea di Heihe, luogo dove si trovano numerosi siti archeologici che testimoniano l’antichità della civilizzazione in questa parte della Manciuria. Tutta la regione a nord dell’Amur era politicamente, economicamente e culturalmente cinese fino al 1858, quando il Trattato di Aigun venne stipulato fra il conte Muravyov e i rappresentanti della dinastia Qing cedendo quell’area ai russi. E’ proprio questa la regione interessata, a partire da quel momento, dal progetto della cosiddetta Ucraina Verde, idea prodotta dal nazionalismo romantico per colonizzare la regione, sulla base della quale tutta quell’area doveva essere ripopolata da popolazioni di lingua e cultura ucraine, provenienti dal confine occidentale. Un genocidio culturale di chi abitava prima quelle stesse regioni, come anticipato in apertura di queste note. Due anni dopo il trattato di Aigun, la convenzione di Pechino estenderà i diritti della Russia alla parte meridionale dell’Ussuri e sui Territori del Litorale, quindi ancora più a Oriente, fino al mare che guarda al Giappone. Gli storici riconoscono in questi trattati degli accordi particolarmente sfavorevoli per le potenze dell’estremo oriente asiatico (Cina, Giappone, Corea del Nord) a vantaggio dell’occidente russo ed europeo, tanto da essere chiamati a partire dagli anni ’20 Trattati ineguali.
Sarebbe interessante capire più a fondo il motivo per cui quella parte del territorio asiatico sia tanto difficile da controllare per i popoli levantini, ricadendo con più facilità sotto il controllo militare e l’influenza geopolitica di Mosca, com’è evidente dai fatti storici che si sono susseguiti nell’arco di quattro secoli. La Cina non riesce a spingersi oltre il fiume Amur, o meglio non è in grado di controllare le conquiste militari oltre quella barriera naturale. La regione di Chabarovsk e Magadan è quella più orientale, detta anche Territorio del Litorale poiché si affaccia sul mare del Giappone. E’ la regione di più recente formazione essendo stata istituita come oblast autonoma solo nel 1938, un anno prima della Seconda Guerra Mondiale. Vi è pure un brevissimo tratto di confine con la Corea del Nord, lungo non più di 20 km. La regione è prevalentemente montuosa, fin verso la costa dove nell’ampio Golfo di Pietro il Grande, esteso per oltre 200 km, si protende la penisola su cui sorge l’importante città di Vladivostock dove si trova il porto più importante. Il clima rigido invernale tuttavia porta le acque del golfo a ghiacciare, rendendo inutilizzabili i porti per diversi mesi all’anno. Il territorio è ricco, dato non trascurabile, di giacimenti carboniferi. Un dato molto interessante è la compresenza nell’ecosistema di specie tropicali e boreali, come la tigre siberiana accanto alla renna. Queste due specie convivono fianco a fianco nello stesso ambiente naturale.
L’economia nella regione dell’Amur è basata sulla lavorazione degli alimenti e del legno, ma anche sulla produzione di macchinari per l’estrazione dell’oro, altro motivo d’interesse per quella regione. Non è un caso che il famoso personaggio dei fumetti disegnato da Ugo Pratt, il pirata romantico noto come Corto Maltese, fosse stato posto in una delle sue prime avventure proprio nella Manciuria delle guerre Sino-Russe, alla ricerca dell’oro manciù, incontrandovi l’avventuriero e scrittore americano Jack London. Oltre a questo, nella zona si costruiscono e si riparano imbarcazioni fluviali. Una parte degli edifici risale alla fine dell’Ottocento e sono stati restaurati di recente. Si può dire che tuttora il fiume segni il confine tra Russia e Cina. La regione a nord del corso d’acqua era stata ceduta nel 1689 alla Cina dallo Zar con il Trattato di Nerchinsk, ma poi i cosacchi russi l’avevano riconquistata e incorporata verso la fine dell’Ottocento, dando inizio alle grandi migrazioni dall’Ucraina. Nella parte meridionale si coltivano principalmente grano, girasole e lino. Le regioni sopraelevate a nord-est sono boscose. Da segnalare l’estrazione del carbone a cielo aperto nella provincia di Raychikhinsk, oro e ferro più a nord, e a partire dagli anni ’30 una serie di dighe collegate a centrali idroelettriche lungo l’Amur e lo Zeya. Per il trasporto, si conta sulla Transiberiana dal 1916 e una seconda ferrovia costruita intorno agli anni ’80.
Il confine tra Cina e Russia, ereditato dall’Unione Sovietica attraverso questa dalla Russia zarista, è stato interessato da una serie di eventi fondamentali negli ultimi quattro secoli, tra 1689 e 1881. Da quel momento in poi il confine si stabilizza sostanzialmente sul fiume Amur, tutta la regione delimitata a sud dal corso del fiume, è di fatto parte del territorio russo. Una regione autonoma, che solo per tre anni è stata riconosciuta come una repubblica indipendente, nel quadro della guerra civile antibolscevica. Questa in buona sostanza la motivazione geopolitica della ‘sostituzione’ dei popoli nativi con nuovi coloni importati nell’estremo oriente russo per colonizzare una regione tanto inospitale, difficile da controllare e nello stesso tempo ricca di risorse minerarie. La costruzione della ferrovia ha rappresentato il momento chiave per questa svolta coloniale, proprio come nell’America del Nord le vie di comunicazione hanno accompagnato la progressiva sostituzione dei nativi con i pionieri provenienti dall’Europa. Il tema è complesso e controverso, soprattutto quando sentiamo parlare dell’attuale guerra russo-ucraina come di un genocidio perpetrato contro il popolo ucraino, tema quanto mai controverso che richiede un approfondimento storico in grado di restituire la complessità della prospettiva storica. Per quanto ne sappiamo, praticamente fino alla rivoluzione del 1917 l’Ucraina ha partecipato attivamente al genocidio culturale dei popoli siberiani a fianco del governo zarista, con il quale si trovava pienamente allineata nell’intento di popolare vaste aree del confine meridionale da Kiev a Vladivostock di enclavi parlanti lingua ucraina. Le cosiddette ucraine verdi, gialle e grigie, ultra-nazionaliste e tradizionalmente filo-russe, di cui l’attuale propaganda atlantista non sembra particolarmente intenzionata a parlare