Alessandro Bertirotti, Prefazione a ‘Rivoluzione interiore’ di Federico Berti
Federico Berti
Rivoluzione interiore
Mondi possibili e guerra cognitiva
Prefazione di Alessandro Bertirotti
Antropologo della mente
Università degli Studi di Genova
Federico Berti appartiene a quella classe di persone che crede nell’importanza dell’esperienza umana, sempre fonte di riflessione profonda, da intendersi come vera occasione evolutiva. In altre parole, l’umanità cresce, si sviluppa e tende a migliorare, quando si rende consapevole del ruolo che l’esistere gioca nella formazione delle menti individuali. Sulla base di questi presupposti, possiamo individuare in questo testo una serie di caratteristiche che ci mettono nelle condizioni di renderci partecipi delle motivazioni più profonde del suo autore e, nello stesso tempo, di confrontarle con le nostre
personali.
L’assunto fondamentale dal quale parte l’intera trattazione di Federico Berti è la relazione che esiste fra il concetto di verità e quello di menzogna, e tale relazione determina ciò che lui definisce una vera e propria utopia democratica contemporanea. Riflettere su questo rapporto ci permette di comprendere quanto sia evidente, e nello stesso tempo nascosto, il processo persuasivo, costante e continuo, messo in atto nella
cultura occidentale (ma non solo…) con il quale si conducono due tipi di guerre: una ideologica, l’altra psicologica.
Il significato etimologico del termine idea è quello di visione, e quindi possedere un’idea significa portare avanti, nella propria esperienza quotidiana, una visione del mondo, delle cose e delle persone. Quando questa idea è storicamente determinata e caratterizzata geograficamente entra a far parte del complesso sistema culturale di gruppi e individui, favorendo la formazione e la stabilizzazione di una ideologia. Sempre etimologicamente, il termine ideologia significa ragionamento, oppure pa-
role intorno a una visione del mondo.
Con il termine psyché, gli antichi greci facevano riferimento al pneuma vitale, ossia a quel soffio vitale che andrà poi a determinare successivamente, nella storia del pensiero occidentale, il concetto di anima. Quest’ultimo termine, una volta affrancatosi dai legami religiosi, ci riporta a ciò che oggi possiamo
definire, in senso lato, mente. Quando parliamo di mente, le contemporanee scienze neurocognitive ci insegnano che non ci si riferisce esclusivamente al funzionamento neurologico del nostro cervello, bensì all’incontro che ogni individuo, con il proprio cervello, realizza nel mondo (nel rapporto con la realtà
e gli esseri viventi). In altri termini, la mente è quell’insieme di processi e meccanismi umani che realizzano una sintesi cognitivo-relazionale tra il funzionamento del nostro cervello e quello altrui, costituendo via via quel complesso sistema di idee, pensieri e atteggiamenti che chiamiamo cultura. In quest’ottica, l’autore ci fa chiaramente comprendere che le diverse forme di persuasione mediatica si fondano su un insieme di strutture ideologiche e, nello stesso tempo, psicologiche. Nel testo, il lettore avrà la possibilità di seguire la connessione di questi due elementi, così come si è strutturata nel corso di
alcune tappe della storia del pensiero occidentale.
In quest’ottica, l’autore propone un rimedio universale in grado di porre ogni individuo di fronte a scelte più consone e coerenti a ciò che si pensa di essere, alla propria identità. In sostanza, solo la consapevolezza potrà permetterci di gestire e riconoscere con maggiore facilità i diversi processi di persuasione di massa. Migliorare il proprio livello di consapevolezza permetterebbe, secondo l’ipotesi del nostro autore, la maggiore comprensione dei processi attraverso i quali la nostra mente produce le idee, affinché diventino, gestibili e realizzabili soggettivamente. In effetti, uno dei problemi della contempo-
raneità globalizzata, all’interno della quale i media svolgono un ruolo preponderante, è proprio la presenza di comunicazioni e messaggi che potremmo definire manipolatori.
L’invasività dei media non può quindi essere combattuta se non attraverso l’esercizio e l’ausilio della creatività immaginifica che caratterizza da sempre l’evoluzione della nostra specie. È questo ciò che auspica, come fosse un vero e proprio farmaco, Federico Berti, quando fa riferimento a qualsiasi produ-
zione artistica. E sono sostanzialmente tre i passi che costituiscono e danno forma all’ideazione umana: la memoria, l’immaginazione e l’intelletto. Senza l’attenzione a questi tre elementi (che caratterizzano la formazione delle idee in ogni essere umano) è quasi del tutto impossibile cercare di opporsi al sempre più evidente grado di persuasione occulta che permea le nostre esistenze. In quest’ottica, l’autore riprende il concetto gramsciano di egemonia culturale, intesa come “monopolio della cultura da parte delle classi dominanti” con la quale esse stesse consolidano e difendono il controllo delle arti, delle
scienze e delle religioni, canali privilegiati di accesso all’inconscio collettivo”. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, anche se volgiamo il capo altrove, proprio per non prendere coscienza sino in fondo della situazione attuale. Coloro che controllano l’immaginazione controllano anche il pensiero, chi controlla il pensiero condiziona l’azione.
Secondo il nostro autore, è possibile (di fatto possiamo concordare con lui sostenendo che questo avviene) manipolare e veicolare la formazione di pensieri e idee con l’utilizzo di algoritmi in grado di confermare una serie di desideri, e non solo di tipo commerciale, esistenziali attraverso vere e proprie proposte di prodotti culturali. In effetti, per le imprese che investono sui risultati statistici e le informazioni che i diversi social ricavano dai loro fruitori, i veri costituenti commerciali ed economici pubblicitari sono gli individui stessi. Ogni individuo che frequenta virtualmente la realtà è portatore di interessi economici, proprio attraverso le preferenze esistenziali e l’immaginario che viene continuamente veicolato nella realtà virtuale dalle stesse imprese. In questo contesto, è difficile continuare a credere che esista un’ampia libertà di scelta nelle società globalizzate, specialmente in presenza di questo alto livello
di pervasività ideale ed esistenziale.
Ecco che acquista notevole importanza esemplificativa la nozione di memoria profonda introdotta dall’autore. Essa è il risultato della conoscenza di cui siamo consapevoli e di quella che non raggiunge la nostra soglia della coscienza. Il conflitto, che pure esiste e di cui non siamo consapevoli, tra conoscenza
esplicita e implicita (rispettivamente definite da Federico Berti conoscenza cosciente e conoscenza incosciente) dà luogo a rimozioni, distorsioni e pregiudizi. Proprio su queste due componenti, generatrici di un rapporto disarmonico tra quello che sappiamo di non sapere e quello che non sappiamo di sapere, fanno leva i moderni persuasori. E sono tutt’altro che occulti, mentre giocano sulle debolezze dell’animo e della mente umana, per ottenere adesione e servitù.
Quale rimedio attuare in questa situazione esistenziale globalizzata? La risposta di Federico Berti è tanto naturale quanto necessaria. L’esercizio delle arti combinatorie (ars combinatoria) agevola e attiva questi processi mentali, che sono anche e soprattutto antropologicamente determinati, che consentono e facili-
tano la focalizzazione dell’attenzione sulle dinamiche delle idee inconsce, portandole all’attenzione del pensiero critico. Viene così a formarsi un verso e proprio canone di idee, ossia quell’insieme di regole in cui si delineano processi di ideazione condivisi, favorendo il riconoscimento delle configurazioni simboliche da cui può nascere un pensiero intuitivo. L’autore auspica dunque, come evento risolutivo, specialmente in chiave pedagogica e didattica, la reale presenza di un dialogo aperto fra tutte le discipline. Questo dialogo sarebbe, davvero, il solo tipo di naturale e necessaria influenza persuasiva utile al miglioramento esistenziale della nostra specie, perché saremmo così in grado di incamminarci verso un’armoniosa collaborazione interdisciplinare.
In un’altra sezione del testo, si affronta il tema del ruolo antropologico-mentale che dovrebbe assumere l’intellettuale contemporaneo, proprio per favorire i processi neuro-cognitivi a cui l’autore stesso fa riferimento. Quando un intellettuale, definito appunto maitre a penser, sfrutta la propria posizione a suo vantaggio, e non a vantaggio dell’allievo, mette in atto una relazione abusante, e dunque realizza un rapporto di tipo manipolatorio. L’effetto sarà di imporre “canoni esclusivi, limitando l’orizzonte dell’ideazione, [e] l’allievo in tal modo viene ridotto a seguace (…) [non riuscendo] ad elaborare (…) [la] propria versione del mondo. (…) Il ruolo dell’intellettuale è quello di promuovere lo sviluppo di nuove generazioni, in grado di porre rimedio alla deriva del pensiero collettivo”. Ecco perché la “mnemopoiesi delle idee, applicata alla vita culturale di un Paese, potenzia l’immaginazione e favorisce il manifestarsi dell’intuizione che fonda, orienta e motiva il ragionamento logico, induttivo e deduttivo”. Mi sembra che in queste parole, Federico Berti esprima messaggi didattico-educativi che forse, nel mondo intero, dovrem- mo tutti, al di là della personale intellettualità, considerare come espressione di quel Rinascimento delle idee tanto necessario quanto auspicabile.
In ultimo, vorrei spendere qualche parola, nel tentativo di stimolare nel lettore una riflessione che precede la lettura del testo, sul termine rivoluzione, presente nel titolo dell’opera. La parola rivoluzione indica un ciclo che si compie, e, per la precisione, il significato letterale esprime la rotazione completa di un sistema intorno ad un altro sistema (basti ricordare la storica rivoluzione copernicana, quando si credeva ancora nelle idee biblico-tolemaiche). Applicato alla vita sociale e culturale della specie umana, il concetto di rivoluzione si riferisce, in senso metaforico, a cicli di cambiamento radicale, non sempre e non solo traumatico, ossia a quell’incessante transitus che Giovan Battista Vico identificava nell’alternarsi di corsi e ricorsi storici. In altri termini, l’evoluzione della nostra specie, sia all’interno di singoli gruppi che di culture intere, avviene secondo un processo che potremmo assimilare graficamente all’onda sinusoidale di propagazione del suono. Il suono, in effetti e rispetto al rumore, si propaga secondo un processo di rarefazione e condensazione attraverso un qualsiasi mezzo elastico, grazie al quale l’ampiezza dell’onda è sostanzialmente perfetta. Ciò che corrisponde all’alto andrà poi a corrispondere, alla stessa altezza, verso il basso. Una perfezione di propagazione che è assolutamente lontana da quella del rumore, caratterizzato, invece, da improvvisi picchi verso l’alto e verso il basso.
Il moto di rivoluzione è dunque un ciclo che si compie, dentro e fuori di noi: nessun cambiamento radicale può verificarsi nella vita di una persona (o di un gruppo sociale) senza riflettersi nella mente di chi la vive, e questa visione ci conduce direttamente a comprendere perché il termine interiore è associato a quello di rivoluzione, nel titolo del testo. Ogni rivoluzione interiore richiede un cambiamento di prospettiva, di mentalità, ossia un cambiamento culturale che implica necessariamente tempi lunghi, se non lunghissimi.
Ecco perché Federico Berti ritiene che si sia andato formando, nel corso dello sviluppo del pensiero occidentale, una progressiva deformazione del modello ideale di sviluppo neuro-cognitivo umano. Abbiamo assistito, e stiamo assistendo, ad una sua, più o meno latente, manipolazione abortiva, utilizzata da gruppi di pressione che controllano l’informazione, monopolizzano le arti, le scienze, e le religioni. Insomma, siamo in piena guerra cognitiva, come scrive l’autore. Essa nasce dalla competizione per il controllo dell’immaginario collettivo, e attraversa le nostre esistenze utilizzando manipolazioni, menzogne seriali, servendosi di meccanismi economici di potere che esercitano il monopolio delle arti, del sapere e del nostro rapporto con la trascendenza.
L’augurio finale del nostro autore è quindi quello di ricordare a noi tutti che ogni rivoluzione interiore nasce dalla meditazione sulle figurae mentis che produciamo continuamente per poter ragionare, ossia su quelle realtà alternative funzionali alla progettazione dell’agire, che esistono solo dentro di noi e
come tali vivono il costante stato d’assedio cui la guerra cognitiva le sottopone. In questo senso, la rivoluzione interiore diventa l’occasione di ristrutturare il proprio Sé e i relativi processi di ideazione, con il recupero di una immaginazione più attiva e soggettiva, oltre che culturale.
E l’infodemia (la diffusione esponenziale del delirio collettivo, attraverso i social e altre piattaforme digitali) si combatte per quel che rappresenta: una pandemia della mente, che sta, forse, degenerando in un vero e proprio tracollo umanitario. Secondo Federico Berti, per arrestare la propagazione virale
del disturbo culturale nel quale stiamo vivendo occorre perseguire, in modo strategico e mirato, in primo luogo l’immunizzazione degli intellettuali, formando in modo adeguato artisti, ricercatori, sacerdoti e, in secondo luogo, educando anche tutti coloro che operano nel campo dell’economia, della politica e
della guerra.
Se maggiore sarà la proporzione tra menti libere, collocate in posizione chiave nella società, e popolazione complessiva, minore sarà la vulnerabilità delle masse verso fenomeni di isteria
collettiva, analfabetismo funzionale e disturbo cognitivo diffuso. Pochi anni sono sufficienti (almeno, così ritiene l’autore del testo… mentre io penso sia necessaria una maggiore costanza in questa direzione e più decenni) per innescare un circolo virtuoso, anche a partire dal più desolante dei contesti.
Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro della rivoluzione interiore.