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Achille Geremicca, L’orologio a Carillon. Lettura integrale

Achille Geremicca, L’orologio a Carillon

Achille Geremicca, L’orologio a Carillon

Tratto da: Amore mattutino, Novelle, Napoli, ITEA, 1932.

Il padre, che aveva un negozio d’orologi, era oriundo svizzero: da qui il cognome Schraus. Quando vennero ad abitare di rimpetto a casa nostra, io ero un bimbo di sei o sette anni, alle prese con le prime difficoltà del sillabario. Le tre ragazze s’affacciavano tutt’insieme alla balconata, mi chiamavano, mi gettavano baci. Tranne la più grande, che spesso, la mattina appariva coi diavoletti nei capelli per farsi i ricci, le altre portavano le trecce lunghe con grandi nastri di vario colore, meravigliosi al mio sguardo come ornamenti di fate. La mia serva Rosaria, a sentirle ridere in coro, diceva: – Dio vi benedica, signorine! –; e quelle erano invogliate a ridere più forte, scrollando la ringhiera. Volevano che io le chiamassi per nome, senza confondere: Irma, Rosetta, Nellina; e, impresa più ardua, che imparassi a pronunziar bene: Schraus, ripeterlo in tutti i toni, conoscerne finanche l’ortografia, che si divertivano ad insegnarmi col dito sul vetro, dopo essersi messe insieme a farvi la patina coi più esagerati, burleschi soffi delle loro bocche gioiose.

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