Ghali, ‘Casa mia’. Perché non è un testo progressista
Ghali, ‘Casa mia’
Perché non è un testo progressista
Articolo di Federico Berti
In questi giorni infuria l’ennesima polemica da salotto sollevata e abilmente concertata dai media, intorno al testo di Ghali che ha conseguito il quarto posto al Festival di Sanremo 2024, un biglietto da visita che da solo dovrebbe dirla lunga sull’autenticità del suo antagonismo. Le parole d’introduzione all’esibizione sul palco del Teatro Ariston hanno portato a vere e proprie sollevazioni di piazza, represse nel sangue dalla polizia in tenuta anti-sommossa sotto gli uffici della RAI a Napoli, davanti agli occhi delle persone affacciate dalle finestre (a detta dei manifestanti, quasi divertite). Nelle riviste, nei blog, sembra quasi che il testo della canzone di Ghali sia diventato un punto di riferimento per i movimenti antagonisti, cosa peraltro assolutamente non vera, ragione che mi spinge a spendere due parole su questo brano, mostrando le ragioni che a mio parere non lo rendono un testo né progressista, né tanto meno fuori dal coro in una società dello spettacolo che tutto assimila, riassorbe e normalizza, anche il dissenso.
Il testo di Ghali contiene qualche vago cenno a temi, più parole chiave disseminate qua e là che altro, intorno ai quali si è sviluppato un ampio dibattito nei media degli ultimi anni sulla questione dei migranti e degli sbarchi. Quando il cantante parla dei figli di un deserto lontano e dei sogni che si perdono in mare, il richiamo alle tragedie dei fuggitivi abbandonati nel deserto o annegati nei viaggi della speranza, è evidente. Anche l’idea che nessuna strada possa portare a casa, quando non sai casa tua dove sia, potrebbe preludere a un messaggio poetico di una certa profondità, se il tema fosse sviluppato in una prospettiva originale. Peccato si tratti delle solite frasi click bait, prese dalla rete e assemblate alla meglio senza nemmeno troppa attenzione al suono delle parole, ma soprattutto diluite in un testo che non riesce a sviluppare l’argomento in modo significativo.
Quando Ghali parla di ospedali bombardati non prende nessuna posizione, perché la sua canzone deve tornare buona ad ogni nuovo conflitto, va bene sia per l’Ucraina che per Gaza, o per qualsiasi altro scenario neo-coloniale. La simbologia dell’ospedale bombardato suscita commozione, pietà, non coscienza critica, senza protesta sociale autentica, se pure in forma poetica. La canzone in realtà non pone il problema delle motivazioni reali che portano quei sogni a perdersi in mare, non parla ad esempio del colonialismo euro-atlantico e asiatico in Africa, né del neo-schiavismo alla base di queste migrazioni in massa, non parla degli interessi italiani in Nigeria, Marocco, Tunisia, Libia, Algeria, Israele, Ucraina. Ghali pensa solo a trovare una casa per sé stesso, la sua prospettiva è permeata di quell’individualismo borghese che fa di lui un arrampicatore sociale come tanti altri.
Ghali non è un cantautore militante, non si pone il problema dell’azione collettiva necessaria a non permettere che altri disperati debbano fuggire. Il suo testo è animato da un vittimismo che fa il gioco del potere stesso, ponendosi come l’eccezione facilmente riassorbita dal sistema. Non va mai oltre alla denuncia disperata, in cerca di consensi per sè stesso più che di autocoscienza in chi lo ascolta. Non un cenno al finanziamento delle polizie negli stati canaglia da parte del governo di cui si presenta in realtà come un lealissimo suddito. Non un minimo di ricerca sulle trame economiche sottese alla triangolazione fra stati nazionali, criminalità organizzata e capitalismo avanzato. Un sistema che ha bisogno proprio di soggetti come Ghali per far credere che tutti abbiano delle opportunità, che tutti possano godere della fama e del successo, a patto naturalmente di non uscire mai dal seminato. Ghali è un Moll Flanders al maschile, un self made man che usa gli stereotipi della contestazione per scalare posizioni migliori nella società di cui vuole essere espressione.
Quando poi parla del Truman Show, preferendolo a riferimenti cinematografici ben più interessanti, significativi e politicamente impegnati (penso 1984, Farenight 451, Brazil, Matrix solo per citarne qualcuno), non si accorge di essere lui stesso una pedina di quello show, di fare l’innocua predica dal pulpito di quel potere che non lo lascerebbe parlare se dicesse cose realmente disturbanti. Anche la polemica andata in onda a Sanremo 2024, non ha avuto l’aspetto di un reale dissidio, ma piuttosto di una messinscena tipicamente televisiva, che asseconda peraltro schemi già visti e rivisti milioni di volte in quel genere di show. Mi torna in mente l’episodio di Massimo Troisi che rispose alla censura semplicemente salendo in macchina e tornandosene a casa. Il suo film ebbe poi un successo clamoroso, anche senza bisogno della passerella di Sanremo.
Quando Ghali dice che ‘di alzare un polverone non mi va‘, sta rassicurando il sistema che la sua denuncia è puramente teorica, serve solo a dare spettacolo, non a compiere una reale critica sociale. Non entro nel merito del linguaggio adoperato dal sedicente cantautore, che dimostra oltre tutto un scarsissima preparazione letteraria: scrive in italiano, si dichiara italiano, ma non conosce la letteratura italiana, non svolge alcuna una ricerca sulla musicalità del fraseggio, sulla metrica pur verso-liberista del genere da lui praticato, non sembra nemmeno interessato a una ricerca sul proprio stile di canto, accontentandosi di un auto-tune che non assolve la funzione espressiva di pionieri come Laurie Anderson o Robert Frupp che sperimentavano le (allora) nuove tecnologie per trarne nuovi linguaggi artistici, ma è risolto a puro strumento facilitatore per una generazione che pretende di fare musica come i bambini che giocano alle costruzioni modulari. Al momento vedo solo un giovane artista di successo, perfettamente allineato al sistema nel quale è più che ben inserito.
Quando nell’introduzione alla canzone sul palco del Teatro Ariston, auspica che la sua esibizione possa servire per ‘ragionare sull’irragionabile‘ di fatto sta usando un ossimoro che allontana chi lo ascolta dalla realtà, come se il suo testo potesse arrivare là dove il ragionamento non può giungere, come se avessimo realmente bisogno di intellettuali come lui per poter prendere consapevolezza di questi temi. Mi dispiace doverlo affermare, ma ritengo sia vero piuttosto il contrario, sono queste opportunistiche veline ad allontanare le masse dalla coscienza critica, illudendole che la canzone di Ghali possa sostituire un approfondimento storico, politico e culturale. Per fortuna il pubblico dissenso non ha bisogno di marionette, potrebbe avere semmai bisogno di uno stimolo in più nel passare dal pensiero all’azione, ma questo è un altro problema.
Impossibile poi non entrare nel merito della reinterpretazione di Toto Cotugno, uno dei testi fondamentali per il nazionalismo liberista del secondo Novecento, il tristemente noto Italiano vero scritta dopo la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio, che ironizzava nel 1983 sul fatto che il presidente della repubblica fosse un ex partigiano, che nel ritornello associava la patria al nome di Maria e a quello di Dio. Testo che fu persino scambiato da alcuni per un omaggio a Giorgio Almirante. Ghali ha interpretato la canzone in modo lineare, non parodiandola o intervenendo sul testo, questo perché il suo problema è semplicemente quello di sostituire un nazionalismo ristretto a un nazionalismo allargato, non quello di rinunciare al nazionalismo in favore di un internazionalismo autentico. L’artista denuncia i confini, le guerre, le bombe sugli ospedali, ma poi non è in grado di opporsi al problema dello stato-nazione e si fa portavoce di una canzone reazionaria, nazionalista e clericalista.
Concludo chiarendo le ragioni di questa mia presa di posizione. Non m’interessano le onanistiche e false prese di posizione dell’ennesimo narcisista arrampicatore sociale, ma i temi di cui tratta sono importanti e perciò non posso esimermi dal segnalare l’urgenza di approfondirli, svilupparli, anche attraverso le arti, ma alzando l’asticella della preparazione intellettuale. Diceva Gramsci, “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”. Lo ripeto anche al giovane Ghali, che fa ancora in tempo a compiere scelte diverse da quella del successo ad ogni costo. Concentrarsi sui temi e scegliere con cura riferimenti, portavoce, perché la rivoluzione deve avvenire prima dentro di noi, per potersi manifestare fuori di noi attraverso l’azione collettiva organizzata.