Guerra cognitiva e conflitto ucraino

Guerra cognitiva e conflitto ucraino. Caricatura di un leone da tastiera

Guerra cognitiva e conflitto ucraino

Articolo di Federico Berti

Per guerra cognitiva1 s’intende una forma di guerra ibrida che si basa sulla conduzione continua e ripetuta di attacchi informativi e operazioni psicologiche orientati a influenzare atteggiamenti, comportamenti e punti di vista. Questi attacchi avvengono attraverso il patrocinio di intellettuali ridotti a opinion leaders, che opportuna-mente coordinati hanno il potenziale di frammentare, polarizzare e radicalizzare il dibattito, promuovendo processi di indebolimento e persino fenomeni di involuzione cognitiva2. La guerra cognitiva mira a manipolare le menti dei cittadini attraverso una strategia complessa che sfrutta varie fonti media, dalle fake news alla loro più inquietante evoluzione, il deepfake, al fine di interferire nel processo democratico manipolando elezioni e processi decisionali.

È un concetto entrato ufficialmente nei vocabolari dell’intelligence, degli ambienti militari e della politologia nel 2017, con lo sdoganamento di questa nozione, fino ad allora contemplata nel novero delle strategie di manipolazione mediatica, dal generale dell’USAF David Goldfein3. Nello scenario postmoderno della guerra cosiddetta ‘asimmetrica’, la mente umana viene identificata come uno dei molti terreni di battaglia su cui si svolge un conflitto. L’obiettivo è non solo intervenire sul pensiero, ma in un senso più profondo sulla relazione tra pensiero e azione. Nelle sue forme più estreme, la guerra cognitiva è in grado di frammentare un’intera società4, in modo che la sua cittadinanza, intesa come una collettività divisa, depressa, confusa, non riesca più nemmeno a trovare dentro di sé la volontà di opporsi al volere dell’avversario. Si ritiene dunque di poter sottomettere in questo modo un paese minimizzando o riducendo l’uso della coercizione fisica.5

Questo nuovo modo di concepire l’arte della guerra, conseguenza ineluttabile degli avanzamenti nelle neuroscienze cognitive e nel-lo psicomarketing, nonché del decadimento cognitivo delle masse alimentato dalla società del comfort, ha come campo di battaglia la mente e come scopo il suo dominio. L’umano che diventa automa, che diventa il telecomandabile candidato manciuriano di Va’ e uccidi. Sono le guerre cognitive, o mentali6.

Questo tipo di strategia è tutt’altro che innovativa, la ritroviamo in testi del mondo antico, si pensi al classico di Sun Tzu, L’arte della guerra, un testo che tuttora è oggetto d’interesse per la sua rilevanza non solo nel contesto militare7, dove si invita in modo esplicito a corrompere il nemico, destituire di credibilità i suoi ufficiali e i suoi governanti, inducendoli ad azioni vergognose e vili per poi divulgarne gli scandali, stringere delle relazioni segrete con i meno raccomandabili tra i nemici, seminare discordia nella dirigenza del paese avversario eccitandone gelosia e diffidenza provocandone l’indisciplina, suscitare motivi di scontento nella popolazione, disturbando il nemico con falsi allarmi e false informazioni, guadagnando alla propria causa gli amministratori delle province avverse. Nulla di sorprendente che questo insegnamento venga messo in pratica, in modo tutt’altro che ‘occulto’, in ogni campo, non solo militare, e a ogni livello, nazionale e internazionale.

Il concetto di guerra cognitiva viene associato molto spesso al conflitto ucraino a causa dell’ampio utilizzo conclamato di tattiche di disinformazione, propaganda e manipolazione dell’opinione pub-blica, da parte di entrambe le fazioni. La diffusione strategica di false notizie, interpretazioni unilaterali, forzature logiche, attraverso i social media oltre che nel mainstream, ha giocato un ruolo significativo nel plasmare le percezioni e gli atteggiamenti della popolazione8. Questa forma di guerra ha avuto un impatto rilevante sullo svolgimento del conflitto evidenziando il potenziale distruttivo della guerra cognitiva in contesti di guerra ibrida.

Contrariamente a quanto sostengono complottisti e paranoici leoni da tastiera, non siamo vittime di questo sistema, al contrario siamo noi stessi i primi e più solerti carnefici della nostra intelligenza, macellai del pensiero critico. Siamo noi il sistema. Lo scenario di guerra nell’Europa Orientale è diventato un banco di prova per la tenuta del nostro buon senso. Nelle pagine che seguono s’intende ripercorrere i nodi più controversi del dibattito mediatico sorto intorno allo scenario geopolitico dell’Europa Orientale attualmente interessato dal conflitto bellico, per porli al vaglio di una disincantata logica di tipo aristotelico.

Note

1Bernard Claverie e.a., Cognitive Warfare: The Future of Cognitive Dominance, NATO Collaboration Support Office, pp.2, 1-7, 2022.

2La nozione di guerra cognitiva è strettamente legata a quella di rivoluzione interiore, intesa quest’ultima come una forma di resilienza organizzata attraverso una cooperazione sistematica di intellettuali e cittadini orientata a promuovere un rinascimento intellettuale delle masse, attraverso l’implementazione del livello culturale medio, delle facoltà cognitive in gruppi sociali sempre più ampi, in grado di opporre una ragionevole barriera all’infodemia dilagante. Un processo lungo e non privo di ostacoli, in cui le masse prendono coscienza del pericolo generato dalla loro esposizione a queste forme di manipolazione, e delle tragedie cui l’abuso di questi mezzi può portare, operando nel senso opposto alla demolizione del buon senso. Si veda a questo proposito Federico Berti, Rivoluzione interiore. Mondi possibili e guerra cognitiva, Bologna, 2023.

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4Emanuel Pietrobon, Guerra cognitiva, la nuova minaccia ibrida, Machiavelli Dossier 42, Centro studi Machiavelli, luglio 2023. “La storia delle guerre cognitive è recente, ma la loro preistoria risale alla Seconda Guerra Mondiale e attraversa l’intera Guerra Fredda, partendo dagli studi di Kurt Plötner sul condizionamento e proseguendo con le ricerche di Stati Uniti e Unione Sovietica su controllo mentale, fabbricazione del consenso e manipolazione delle masse. L’avvento di Internet e i progressi nelle neuroscienze hanno dato lo slancio finale a un fenomeno che, dunque, fermentava da decenni”.

5Redazione, ‘Nato Review’, John Hopkins University & Imperial College London, 20 Maggio 2021, Countering cognitive warfare: awareness and resilience. “In cognitive warfare, the human mind becomes the battlefield. The aim is to change not only what people think, but how they think and act. Waged successfully, it shapes and influences individual and group beliefs and behaviours to favour an aggressor’s tactical or strategic objectives. In its extreme form, it has the potential to fracture and fragment an entire society, so that it no longer has the collective will to resist an adversary’s intentions. An opponent could conceivably subdue a society without resorting to outright force or coercion.”

6Emanuel Pietrobon, L’arte della guerra ibrida. Teoria e prassi della destabilizzazione, Castelvecchi, 2022.

7Sun Tzu, L’arte della guerra, testo open source, Cap.11, Par.55-sgg., è un testo molto diffuso non solo nello studio della strategia militare, della politica e della propaganda, ma anche del marketing, come osserva Alessio Giacomello, Sun Tzu e “L’Arte Della Guerra”: quanto è attuale per il manager moderno?, Tesi di Laurea I ciclo , 2006/07, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, Scienze dell’ammi-nistrazione.

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