Il guardaroba di Pierrot. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.10
Il guardaroba di Pierrot
Frammento X
Commento musicale:
D. Bowie, “Threepenny Pierrot”
FAI PARTIRE LA MUSICA
UN CIRCO
IMMAGINARIO
La carovana dei ciuchi di latta sonnecchia all’alba tra le mura di una caserma abbandonata; tutto tace, la bella Pierrot scende il predellino del camper coi piedi infilati negli zoccoli di legno, una bacinella d’acqua fredda in mano. Non teme occhi indiscreti, è un tacito accordo il rispetto dell’intimità: mai disturbare una Venere al bagno potrebbe vendicarsi, trasformarti in un cigno! O in un rospo… Ritta in piedi contro il sole nascente fra le erbacce dei colli che separano il paese dei balocchi dalla periferia romana, rovescia il contenuto della bacinella sul proprio corpo, si lava, s’asciuga, rientra nel carrozzone. Non bada a me, che pure abbasso lo sguardo in un guizzo di borghese imbarazzo. E’ domenica, dice. Si va a giocare in piazza! Apre il guardaroba: “Che mi metto oggi?”. L’armadio è un’anta unica non più di mezzo metro, non ci sono dentro costumi di raso frizzi e lazzi, ma vestiti. Normali vestiti, qualcuno se l’è modificato lei stessa con ago e filo, la maggior parte è così come l’ha trovata al mercato del quartiere. C’è ancora il banco a mille lire tutta roba usata: puoi trovarci quel che vuoi, basta scegliere. Sono abiti qualsiasi, l’importante non è quello che metti ma come lo porti, lo stesso vestito puoi usarlo per una passeggiata in centro, o per cavalcare le pulci nell’arena. Nessun boccascena ti protegge dal pubblico, quando vivi in un circo immaginario sei tu che delimiti l’arena collo sguardo senza panche tendone trapezio fune sabbia. Lo spazio è sempre quello, un marciapiede, il nero bitume della piazza, tutt’al più qualche sampietrino e se proprio vuoi rovinarti, le luci arancioni della scena turistica. Non esiste un sipario quello devi tracciarlo con gli occhi, con le mani, con tutto il corpo: chi hai davanti vuol vedere l’invisibile, sta a te creare l’illusione. Non importa chi sei, ma che fai.
UN GIRO IN
METROPOLITANA
Torno all’accampamento, amara sorpresa il manico della chitarra è spezzato, spaccato in due; mi carico la custodia a braccio esco dal Forte Prenestino in cerca d’un bar aperto, un elenco del telefono, un liutaio in servizio. Otto mezzi pubblici per raggiungerlo. Non sopporto le grandi città, si rubano il tuo tempo; così mi ripeto nel salire gli autobus poco affollati dell’estate romana, nel percorrere i corridoi della metropolitana, nel sedermi in quei vagoni sporchi, sonnolenti e tristi. La gente non guarda né saluta, chissà cosa le passa per la testa. Forse pensa alle cabine degli stabilimenti balneari, tutte in fila come un esercito schierato, quei volti sembrano così tristi che il mio piccolo incidente brilla d’una luce diversa: guardati bene mi dico, sei un giovane vagabondo che dorme in un forte abbandonato fra le canizze dei randagi e una carovana di saltimbanchi, stai attraversando la città semideserta con una chitarra rotta in mano. Talmente surreale, mi vien quasi da ridere… Vedo qualche sguardo scuotersi dal torpore: che fa quello? Sono vestito di nero come un becchino, abbigliamento neutro. La calzamaglia di Mejerchol’d. Non sto a pensarci due volte prendo lo strumento, fingo di suonarlo e canto la prima canzone che mi viene in mente; non per intrattenere, ma per condividere. La chitarra col manico rotto. Se puoi creare l’illusione d’un boccascena, non puoi far sentire una musica che non c’è? Mi prendo il tempo necessario per finire la canzone e ringraziare dell’applauso, non richiesto né atteso ma quanto mai gradito. Poi attraverso il vagone e molti chiedono: “Scusa, dove lo metto il soldino?”. In quegli anni zingari sui treni se ne vedevano pochissimi, era una novità: mi accorsi che la loro sete era tanta, così tanta che mi avrebbero dato il mondo, se avessero potuto. Arrivai finalmente dal liutaio, lasciai lo strumento. Ero contento mica per i soldi, ma per la breccia. Pierrot s’accontenta di poco, non importa il vestito ma come lo porti: mezzo metro di guardaroba è quasi un lusso.