Pegaso il cavallo alato. Ovvero, il controllo dell’ispirazione.
Pegaso il cavallo alato
Il controllo dell’ispirazione
Articolo di Federico Berti
Un mito dell’ispirazione poetica
Nella letteratura europea il mito di Pegaso viene ormai da secoli interpretato come un simbolo dell’ispirazione poetica e del furore creativo, in modo particolare nella letteratura italiana (Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso), inglese (William Shakespeare, John Milton, Alexander Pope, John Keats, Percy Bishe Shelley, Lord Byron, William Butler Yeats), francese (Pierre de Ronsard, Jean La Fontaine, Victor Hugo, Paul Valery, Andre Breton), spagnola (Luis de Gongora, Francisco de Quevedo, Miguel de Cervantes, Garcia Lorca), tedesca (Johan Wolfgang von Goethe, Friedrich Schiller, Reiner Maria Rilche, Heinrich Heine, Friedrich Hölderlin), russa (Aleksandr Pushkin, Nikolai Gumilev, Boris Pasternak), sudamericana (Jorge Louis Borges, Gabriel Garcìa Marques, Pablo Neruda), americana (Nathaniel Hawthorne, Emily Dickinson, Allen Ginsberg, Sylvia PLath).
Pegaso, Mercurio e le Muse
Nell’arte europea degli ultimi cinque secoli, il tema del dio Mercurio che cavalca o si relaziona con Pegaso si è sviluppato in modo sorprendente, dal Parnaso di Andrea Mantegna, al Cavallo di Marly scolpito da Antoine Coisevox a Parigi, passando attraverso le rappresentazioni di Perseo che tenta di addomesticarlo indossandone l’elmo. Mercurio veniva considerato il messaggero degli dèi, simboleggiava la comunicazione, la velocità, la trasmissione sia delle idee che dei beni materiali, in altre parole lo scambio anche inteso come uno scambio non voluto, ad esempio il furto (Mercurio si considerava anche protettore dei ladri). Il cavallo alato a sua volta viene associato comunemente alle Muse, simbolo della mente che si fa spirito elevandosi al di sopra dell’esperienza sensibile per innalzarsi in un volo che ha tutta l’aria di una trascendenza attribuita alla stessa esperienza creativa: le ali lo rendono simile a un angelo, gli zoccoli ribadiscono la fisicità e la corporeità della sua potenza. Come vedremo tra poco, tutti questi aspetti nel simbolo del cavallo alato, figlio della Gorgone Medusa, non sembrano per nulla appartenere al mito greco ma sono il frutto di uno sviluppo relativamente tardo del tema narrativo. Per la precisione, sono aspetti che si vengono a diffondere in epoca latina, intorno al primo secolo dell’era volgare.
La sorgente sul Monte Elicona
Il padre dell’epica greca Omero infatti, nell’Iliade riporta le imprese dell’eroe Bellerofonte ma non cita direttamente il cavallo Pegaso donato a lui da Atena, che fa la sua prima comparsa in Esiodo e senza nessun riferimento alle ali, su cui siamo abituati a vederlo librarsi in volo: proprio così, nelle sue prime rappresentazioni letterarie viene descritto semplicemente come un cavallo, non ha l’aspetto di un volatile. Negli autori successivi, si parlerà di lui come del fido compagno del guerriero di Corinto, senza nessun riferimento diretto al monte Elicona e alle arti sorelle figlie di Mnemosyne. Il primo a relazionare in modo esplicito Pegaso alle Muse è in effetti un poeta romano e non greco, Publio Ovidio Nasone nelle Metamorfosi, dove si racconta che il cavallo rimase incantato ad ascoltare un agone canoro al santuario apollineo e vedendo che il monte cresceva in altezza fin quasi a toccare il cielo, batté uno zoccolo in terra per fermarlo, dando così origine a una fonte sorgiva nota come Ippocrene, o sorgente del cavallo:
Ovidio, Le Metamorfosi,
Libro V, 250-265
Hactenus aurigenae comitem Tritonia fratri
se dedit; inde cava circumdata nube Seriphon
deserit, a dextra Cythno Gyaroque relictis,
quaque super pontum via visa brevissima, Thebas
virgineumque Helicona petit. quo monte potita
constitit et doctas sic est adfata sorores
‘fama novi fontis nostras pervenit ad aures,
dura Medusaei quem praepetis ungula rupit.
is mihi causa viae; volui mirabile factum
cernere; vidi ipsum materno sanguine nasci.’
excipit Uranie: ‘quaecumque est causa videndi
has tibi, diva, domos, animo gratissima nostro es.
vera tamen fama est: est Pegasus huius origo
fontis’ et ad latices deduxit Pallada sacros.
quae mirata diu factas pedis ictibus undas
silvarum lucos circumspicit antiquarum
antraque et innumeris distinctas floribus herbas
felicesque vocat pariter studioque locoque
Mnemonidas; quam sic adfata est una sororum:
‘o, nisi te virtus opera ad maiora tulisset,
in partem ventura chori Tritonia nostri,
vera refers meritoque probas artesque locumque,
et gratam sortem, tutae modo simus, habemus.
Traduzione:
Fino a qui Tritonia ha guidato Pegaso, auriga e compagna al fratello; quindi, avvolta da una nuvola, abbandonò Serifo a destra lasciando Cito e Giaro e, volando sulla via più breve sopra il mare, raggiunse Tebe e l’Apollo di Elicona. Sul monte, avendo ottenuto ciò che desiderava, si fermò e rivolse queste parole alle sapienti sorelle: “La fama di una nuova fonte è giunta alle mie orecchie, quella stessa fonte che è stata aperta dallo zoccolo dell’infausta Medusa. Questo è il motivo del mio viaggio; desideravo vedere l’incredibile evento; ho visto Pegaso stesso nascere dal sangue della sua madre.” Urania rispose: “O divina, sei la benvenuta nelle nostre case, qualunque sia il motivo del tuo arrivo, sei gradita nel nostro cuore. La verità è che Pegaso è l’origine di questa fonte, e Pallade lo ha guidato alle sorgenti sacre. Ammirata a lungo per le onde create dai colpi dei suoi zoccoli, contempla i boschi delle antiche selve, le grotte e le innumerevoli erbe distinte dai fiori. Chiama le Memnonidi fortunate, esaminando con cura e dedizione i luoghi. Una delle sorelle le parlò così: “Oh, se solo la tua virtù ti avesse portato a imprese ancora più grandi, tu saresti venuta con noi, Tritonia, come parte del nostro coro. Ora dici la verità, e dimostri il tuo valore, le tue abilità e il tuo merito, e possiamo considerarci fortunate, purché siamo al sicuro.”
La sapienza di Atena
Nel racconto di Ovidio si menziona Tritonia, uno dei nomi con cui veniva chiamata Atena dea della sapienza, che secondo il poeta latino avrebbe cavalcato Pegaso, avvolta in una nuvola, fino a Tebe per recarsi al tempio di Apollo, annunciando alle Muse di aver sentito parlare di una nuova fonte scaturita da uno zoccolo della Gorgone Medusa. Atena sosteneva secondo Ovidio di aver visto nascere il cavallo alato dal sangue di lei. Urania le rispose che in realtà questa fonte era nata da Pegaso, è qui che il mito viene associato per la prima volta in modo esplicito all’arte e alla creatività,, ovvero alle sorelle Mnemominidi, così dette perché figlie di Mnemosyne la memoria. Per quanto sia del tutto verosimile che Ovidio non abbia tratto dalla propria sola fantasia questi rifermenti, basandosi piuttosto su rappresentazioni artistiche, architettoniche, racconti popolari, luoghi sacri e leggende auree del suo tempo, non possiamo in ogni caso considerare il sincretismo tra Pegaso e le Muse, di origine greca o micenea: con tutta probabilità, questo aspetto del racconto deve essersi sviluppato in Medio Oriente nell’età ellenistica, poi accolto dai latini che lo avrebbero ulteriormente sviluppato nelle forme a noi note dalla letteratura rinascimentale in poi, come lo stesso Giulio Giannelli sostiene nella voce Pegaso da lui curata nel 1935 sull’Enciclopedia Treccani.
La disciplina di Zeus
Si deve considerare un ulteriore dettaglio, il fatto cioè che anche in Ovidio il cavallo alato fa sgorgare dal suolo una fonte battendovi col proprio zoccolo, ma non per favorire il culto della poesia e della creatività bensì per porre un limite alla crescita di quel monte stesso, che minacciava di raggiungere un’elevazione incontrollata. Come se si volesse contenere l’elevazione di Apollo e delle Muse, piuttosto che favorirne lo sviluppo. La fonte, ovvero l’ispirazione poetica, sarebbe dunque il frutto di un tentativo di domare il furore creativo attraverso un atto violento, il calcio dello zoccolo che batte sulla pietra da cui sgorga la sorgente della creatività, da parte di un cavallo che indossa le dorate briglie di Atena, la sapienza, sotto la cui guida egli è volato fino al monte delle arti, e per ordine del padre Zeus che rappresenta l’autorità, la giustizia, la legge, la potenza creativa del cielo. Sono dunque la sapienza e la disciplina a domare il cavallo alato, rendendo il cavallo un messaggero divino, consentendogli di far nascere sul monte della poesia il torrente del pensiero intuitivo. E non un cavallo qualsiasi, ma proprio il compagno di un eroe caduto in disgrazia, il mitico Bellerofonte che uccise la Chimera e tentò la superba scalata all’Olimpo. Un chiaro messaggio del culto di Apollo domato da quello di Atena e di Zeus.
Il mito di Bellerofonte
Prima di Ovidio, la fonte greca più conosciuta sul mito di Pegaso il cavallo alato era il Bellerofonte di Euripide, un’opera di cinque secoli precedente in cui non si parlava del monte Elicona, delle Muse e dell’ispirazione poetica, ma si raccontava l’ultima parte della vita di un eroe ormai vecchio, stanco, che viveva in miseria nella pianura Aleia insieme al figlio Glauco. Proprio la sua disperazione lo aveva portato a vivere una profonda crisi religiosa, che si era tradotta in un’accusa alle divinità di nulla potere contro i mali del mondo. In sella al cavallo alato Pegaso, lo stesso con cui aveva affrontato la Chimera e compiuto molte grandi imprese in gioventù, Bellerofonte allora tenterà l’impresa scellerata di scalare la vetta del monte Olimpo per recarsi a parlamento con le divinità che vi abitano. Il peccato più grande che i greci potessero concepire, quello di hybris (superbia) contro gli dèi. Ancora una volta sarà il cavallo alato a impedirgli di raggiungere tanta elevazione, disarcionandolo in seguito alla puntura di un tafano inviatogli a questo scopo da Zeus. Purtroppo del poema euripideo ci sono pervenuti solo 90 versi, non possiamo analizzarne il testo integrale.
Le briglie dorate
L’altra fonte principale del mito di Pegaso, di poco successiva alla tragedia di Euripide, si trova nelle Odi Olimpiche del poeta Pindaro dove si tramanda il mito delle briglie dorate che la dea Atena avrebbe donato a Bellerofonte per domare il cavallo alato. Nella XIII Olimpica, il poeta descrive il rituale di recarsi nel tempio della dea per dormirvi e riceverne la visita in sogno. Il magico freno (ancora una volta si parla di un freno, non del furore creativo ma al contrario della capacità di controllarlo) richiede un sacrificio a Poseidone, fratello di Atena, il dio cui si attribuisce la domesticazione del cavallo che sappiamo essere avvenuta fra il VI e il V millennio a.C. Nessun riferimento alle Muse, ma piuttosto alla sapienza di cui l’eroe ha bisogno per compiere le sue imprese. Non la sola forza potrà guidarlo in battaglia, questa componente intellettuale e femminile dell’addestramento cui il combattente doveva sottoporsi era proprio della Grecia classica, in cui la filosofia patrocinata dai santuari assolveva un ruolo fondamentale nella disciplina della violenza.
Pindaro, Odi Olimpiche XIII, 60 ss.
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
che al giogo costringere Pègaso
volendo, figliuol della Górgone
chiomata di vipere, molto sovresse le fonti
soffrí, pria che Pallade il morso
tutto aureo gli desse. Dal sonno, repente
il vero gli apparve: «Tu dormi, signor degli Eolî?
A te questo magico freno:
tu mostralo al Sire del pelago, tu sgozzagli un tauro».
La fanciulla dall’egida fosca
cosí fra le tenebre notturne gli disse,
mentr’egli dormiva. Di súbito
in piedi balzò; quel prodigio
pigliò; Polivíde cercò, di sua patria indovino,
e tutto l’evento gli disse: com’egli, obbedendo ai suoi detti,
la notte a giacer s’era posto vicino all’altar della Diva,
e come la figlia del Sir della folgore
gli avea dato quell’aureo morso.
Gl’impose che súbito al sogno ubbidisse;
e quando al possente Signore
avesse immolata la fiera
pie’ saldo, un altare fondasse per Pàllade equestre.
La possa dei Superi compie gli eventi oltre il giuro e la speme.
E Bellerofonte gagliardo, lanciatosi, cinse all’alato
corsier le mascelle col magico freno,
domato lo tenne, gli ascese
in groppa, e, coperto di bronzo,
a danza guerresca lo spinse. Con quello, dai gorghi
deserti dell’aere di gelo,
colpí delle Amàzzoni le arciere falangi,
e spense Chimera che fuoco spirava, ed i Sòlimi.
La fine sua taccio. In Olimpo
accolgon la fiera gli aviti presepî di Giove.
Il figlio di Medusa la Gorgone
Prima di Euripide e Pindaro la fonte principale del mito di Pegaso era da ricercarsi nella Teogonia di Esiodo, nella quale si narrava la nascita del cavallo dal sangue di Medusa la Gorgone decapitata da Perseo, cosa che riconduce all’origine africana della mitologia greca, poiché è nell’Africa Occidentale che questo racconto si svolge, nel periodo cui la paleogeologia attribuisce la presenza di corsi d’acqua e ampie zone verdi in quella vasta regione oggi dominata dal deserto, la teoria del cosiddetto Sahara verde. E’ a quel periodo che risale il mito delle Gorgoni, sacerdotesse guerriere cui si attribuiva il governo di un ampio territorio, le quali sarebbero state vinte dalle Amazzoni venute dal Medio Oriente. Pegaso nasce dunque da una sacerdotessa, viene considerato figlio di Medusa e Poseidone, il Domatore dei cavalli per eccellenza, nato in epoca pre-ellenica, nell’età del bronzo. E’ dunque un mito miceneo, non greco. Ancora una volta non si fa menzione delle Muse, ma piuttosto di un culto guerriero riservato alle donne, sacerdotesse e governatrici di un matriarcato arcaico. Se qualcosa hanno in comune queste tre fasi distinte nel mito di Pegaso, è l’elemento femminile. Medusa, Atena, le Muse figlie di Mnemosyne.
Esiodo, Teogonia
I figli di Ceto e di Forci
E Ceto partorí le Graie bellissime a Forci,
che dalla nascita sono canute, e le chiamano Graie
gli uomini che sulla terra si muovono, e i Numi del cielo:
Penfredo dal bel peplo, con Enio dal peplo di croco;
e le Gorgóni che stanno di là dal famoso Oceàno,
verso la Notte, agli estremi confini, ove, garrule voci,
sono l’Espèridi: Stenno, Euríale e Medusa funesta.
Era mortale questa, immuni da morte o vecchiezza
le prime due: con quella, sui fiori d’un morbido prato
a Primavera, il Nume s’uní dalla chioma azzurrina.
E quando a lei Persèo dal collo recise la testa,
il grande ne balzò Crisàore, e Pègaso. A quello
ben si convenne il nome, quand’egli d’intorno alle fonti
giunse d’Ocèano, e d’oro stringeva nel pugno una spada.
Quindi volò, lasciando la terra nutrice di greggi,
fra gl’Immortali giunse, di Giove nei tetti or dimora,
e il tuono a Giove, mente sagace, ed il fulmine reca.
Chimera, figlia d’Idra
Idra, poi partorí Chimera, che fuoco spirava,
che immane era, tremenda, veloce nei piedi, gagliarda.
Essa tre teste aveva: la prima di fiero leone,
l’altra di capra, la terza di serpe, d’orribile drago.
Bellerofonte prode con Pègaso morte le diede.
Domare il cavallo alato
Il mito di Pegaso dunque riporta a un periodo compreso tra VI e IV millennio a.C. in Africa, dove secondo la tradizione greca avrebbe avuto luogo la domesticazione del cavallo ad opera di Poseidone, il mitico re degli Atlantidei. Storicamente, questo racconto è confermato dall’indagine archeologica e paleontologica: l’introduzione del cavallo, confermata in quel periodo, comportò una maggior fluidità e rapidità negli scambi, sia economici che commerciali, e uno sviluppo completamente nuovo nell’arte della guerra. Si racconta che i famosi hyksos cui si attribuì a più riprese l’invasione dell’Egitto, avessero preso il sopravvento proprio grazie all’uso dei cavalli prima, dei carri da questi trainati poi. E’ in tale prospettiva che nel XIII secolo a.C. iniziano a comparire le rappresentazioni di cavalli alati in Medio Oriente, cui non erano associati però ancora dei racconti propri, li si trovava più che altro come elementi decorativi nell’architettura palaziale e nel culto della regalità, insieme ad altri animali alati. Queste figurazioni arcaiche non sono direttamente relazionabili al mito di Pegaso, che assume solo in Grecia una connotazione particolare nel periodo esiodeo vale a dire intorno all’VIII secolo. In questa fase, al cavallo non venivano attribuite ancora le ali, si trattava dunque di un mito che andava a distinguersi nettamente e consapevolmente da quello dei cavalli alati medio orientali.
Patriarcato e matriarcato
La specificità del mito di Pegaso, è legata fin dal principio all’elemento femminile e al culto della sapienza associato all’addestramento dei combattenti, ovvero il passaggio dall’egida di Poseidone a quella di Atena. Si distinguono dunque tre fasi nella condivisione di questo racconto, una fase arcaica nella quale si parla semplicemente della nascita del cavallo dal corpo della Gorgone, una intermedia in cui si mette in guardia l’eroe dall’abuso della potenza creativa portata dal mitico animale, che può disarcionarlo causandone la rovina come nel caso di Bellerofonte, e una fase tardiva in cui lo si associa più specificamente all’ispirazione artistica, alla creatività, alla poesia. In tutte e tre queste fasi, il cavallo alato simboleggia una potenza che dobbiamo imparare a dominare dentro noi stessi, l’istinto sottomesso alla sapienza di Atena e alla disciplina di Giove. Per volare in sella al divino Pegaso dobbiamo imparare cioè a coltivare la conoscenza, quindi la filosofia, la letteratura, la poesia, ma anche a dominare l’istinto attraverso il controllo di noi stessi: a questo servono le arti, non a lasciarci ‘invasare’ da un’ispirazione totalmente irragionevole ma esattamente all’opposto, imparare a controllarla, incanalarne il flusso in una sorgente che possa scorrere in modo ordinato come un torrente nel proprio letto, senza esondare.
Pegaso e l’Ippogrifo
E’ in questa forma che il mito dell’Ippogallo e poi dell’Ippogrifo attraverseranno il medioevo, tornando a imporsi in quella visione immaginifica di cui leggiamo nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, nel quale Ruggero, paladino di Carlo Magno, è chiamato a domare il cavallo alato grazie a un libro donato a lui dal mago Atlante, un chiaro riferimento alla catena montuosa dell’Atlante in cui si localizzava l’arcaico matriarcato delle Gorgoni, di cui l’Ippogrifo è idealmente figlio. Inizialmente l’eroe viene disarcionato dal cavallo, per domarlo dovrà imparare a leggere, sarà un libro a consentirgli di fare quel passo ulteriore che trasforma il guerriero in prode cavaliere. Pegaso dunque non rappresenta solo l’ispirazione poetica e il furore creativo, ma anche e forse più ancora il suo opposto ovvero la capacità di controllare quella potenza istintiva domandola attraverso la conoscenza e la disciplina. Ovvero attraverso le arti, le scienze e le religioni, cui compete il controllo dell’immaginazione.
Bibliografia
- Giordano Bruno, Cabala del Cavallo Pegaseo, Milano, Daelli, 1864
- Giancarlo Campioli, Pegaso esiste? La filosofia dei campi, Reggio Emilia, Consulta, 2013
- M. Curnis, Il Bellerofonte di Euripide, edizione e commento dei frammenti, Roma 2003
- Esiodo, Teogonia, Milano, Mondadori, 2018
- Nathaniel Hawthorne, Il vello d’oro. Perseo e la Medusa. Pegaso, il cavallo alato. Filemone e Bauci, Roma, Editori Riuniti, 1982
- Giuseppe Fraccaroli, Pindaro, le odi e i frammenti, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1912
- Ovidio, Metamorfosi, Venezia, Giunti, 1584
- Giulio Giannelli, Pegaso in Enciclopedia Treccani
- Giulio Pullini, Pegaso, Pan. Treviso, Canova, 1976