L’albero della vita e l’arte della memoria

Per sottrarsi al condizionamento della memoria, bisogna esercitare l’arte della memoria

L’albero della vita
e l’arte della memoria

Articolo di Federico Berti

Nell’ebraismo della diaspora si è sviluppata a partire dal II secolo dell’era volgare una complessa disciplina mistico-religiosa intorno al racconto biblico dell’albero della vita, quello da cui secondo il libro della Genesi la prima donna (non il primo uomo) colse il frutto della conoscenza. Il più antico documento che ne parla, o almeno il primo giunto fino a noi, è un testo del X secolo che rivendica una tradizione ottocento anni più antica, il Sepher Yetzirah. Opera complessa e in parte oscura, nella quale si parla di un’arte dell’interpretazione trasmessa a lungo oralmente e solo più tardi messa per iscritto. L’albero della vita è descritto come un diagramma geometrico, costituito da un tronco centrale affiancato da due rami, uno a sinistra, uno a destra. I suoi frutti sono rappresentati come delle sfere incolonnate una sull’altra, cinque sul tronco principale, tre su ognuno dei rami laterali, undici in totale. Questa figurazione apparentemente semplice viene usata per la meditazione sull’origine del mondo e più in generale su testi sacri all’ebraismo. Siamo con ogni evidenza di fronte a un teatro della memoria (l’albero) nel quale sono impresse delle annotazioni (frutti) visualizzando le quali il mistico riflette sul mondo.

A dispetto dell’apparente semplicità, la dottrina elaborata nel Sepher Yetzirah non si può ridurre a un capriccio esoterico-divinatorio né banalizzare in alcun modo, anche per rispetto alla comunità religiosa che l’ha elaborata e tuttora in buona fede vi ricorre. Quel che a noi interessa tuttavia non è il suo aspetto mistico, ma quello filosofico ovvero l’intricato sistema di corrispondenze che l’immaginario ebraico ha elaborato intorno a questi elementi di base, posti in relazione l’uno con l’altro: ogni sfera (frutto proibito) si trova infatti ai vertici di poligoni regolari infilati l’uno nell’altro come scatole cinesi, è numerata dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra, associata a un colore, una lettera dell’alfabeto e un nome. I rami che collegano gli undici frutti vengono chiamati sentieri, a ognuno dei quali è pure associata una lettera e un significato profondo. Il principale di questi percorsi segue un andamento simile a quello di un serpente che partendo dalla sfera più in basso tocca tutte le altre per raggiungere infine la vetta dell’albero. Lo stesso percorso viene associato anche alla figura del fulmine che cade dal cielo, in direzione inversa dall’alto verso il basso. Nell’albero si trova inscritta anche la figura umana con le braccia allargate, un chiaro riferimento all’uomo vitruviano. I poligoni ai cui vertici si trovano le sfere, triangoli, quadrati, pentagoni, esagoni, hanno anch’essi un valore simbolico. L’alto rappresenta il cielo, il basso la terra, la sinistra il femminile, la destra il maschile e così via. Un’ampia rosa di rimandi che sembra voler richiamare la divinazione, più che la speculazione teologica.

Non dobbiamo chiederci se questa sia una rappresentazione più o meno credibile del cosmo, o se queste relazioni esprimano realmente l’armonia del creato, aspetti che senz’altro interessano il religioso ma ai quali la mente scientifica resta indifferente. Non vi è un orizzonte di controllo in questo campo, ognuno organizza il proprio pensiero in modo differente, unico e irripetibile: siamo nel dominio dell’arte e non in quello della scienza. L’albero della vita così rappresentato, di evidente ispirazione pitagorica e neo-platonica, se lo osserviamo dal punto di vista delle scienze cognitive possiamo considerarlo tutt’al più una ‘matrice’, ovvero una struttura vuota da riempire con il contenuto dei nostri pensieri. Se immaginassimo di compilare le 11 sephirot disposte sull’albero della vita, inscrivendovi i nostri pensieri e confrontandole col significato simbolico di ogni loro parte, otterremmo una galleria d’immagini da relazionare tra loro in base alle qualità e categorie della casa su cui si trovano, dei sentieri che le uniscono ad altre sfere, del colore, del numero, della lettera, del nome, della collocazione e così via. Semplificando molto, la serie iconografica ottenuta compilando le Sephirot in un albero della vita, potrebbe vagamente somigliare alla tavola di un fumetto con le sue vignette in sequenza, dove però le immagini si possono leggere dall’alto verso il basso, dal basso verso l’altro o partendo da una qualsiasi delle sfere, meditando sopra ogni singolo percorso. Si può partire da qualsiasi casa per raggiungerne qualunque altra.

La struttura delle Sephirot disposte sull’Albero della Conoscenza può ricordare vagamente le mappe mentali e concettuali, i diagrammi ad albero in uso nelle moderne strategie dell’apprendimento, ma a differenza di quelle non è orientata al contenuto, non si accontenta cioè di organizzare le conoscenze secondo un ordine gerarchico interno alle informazioni che desidera elaborare, ma compie un passo ulteriore che è quello di relazionare tutte le conoscenze a uno schema fondamentale che le comprende, un’armonia tra concetti chiave ritenuti a fondamento dell’universo stesso. Le categorie principali dell’indagine filosofica, ovvero l’alto e il basso, il maschile e il femminile, la sintesi degli opposti, l’armonia tra segni e simboli ricorrenti, lo scenario dell’albero cosmico, la concatenazione dei pensieri sul corpo del serpente ma anche lo smembramento del percorso principale in un intrico di sentieri secondari, le parti che compongono il tutto raggruppate secondo la relazioni geometriche e la consapevolezza dei sotto-insiemi, sono fattori che costringono la mente a porre in atto strategie interpretative attivando il pensiero ‘laterale’, ricorrendo all’immaginazione, alla creatività, all’arte e alla poesia. E’ un palazzo della memoria quello costruito dalla mistica ebraica, nel quale inscrivere i ricordi per potervi meditare sopra in modo più approfondito durante le sessioni di attenzione focalizzata, le ‘contrazioni’ di bruniana memoria.

Il lavoro svolto da Giordano Bruno sull’idea aristotelica del Sigillo, ovvero di quel timbro che impressiona la cera lasciando un segno nella memoria, è intimamente collegato alla dottrina ebraica delle Sephirot, poiché ogni singolo sigillo è pensato per essere compilato con le immagini di memoria e può essere dunque posto sull’albero della conoscenza, creando strutture articolate su più livelli. Il tronco centrale dell’albero può dar luogo a rami secondari tracciando schemi di una vastità inaudita, non solo un palazzo ma interi castelli sulle nuvole, cattedrali del pensiero con le loro guglie, campanili, torri e bastioni, dipendenze annesse, case, quartieri, città, un labirinto che sorge nella nostra mente per organizzare, armonizzare e far risuonare tutto quel che sappiamo. Non è solo l’ebraismo ad aver concepito un sistema simile per organizzare il pensiero. Da quanto ne sappiamo, lo schema a croce dell’albero cosmico, le figure ad anelli o quadrati concentrici, si trovano già nei petroglifi cinque, seimila anni prima dell’era volgare. Lo ritroviamo sui tamburi degli sciamani siberiani e in quelli dei nativi americani, ricorre nelle mitologie dei popoli nordeuropei, nella cosmologia e nell’architettura cinese, nella mistica islamica, la stessa struttura dell’oltremondo dantesco è basata sullo schema dell’albero cosmico, che il poeta aveva consapevolmente rielaborato a partire dalle apocalissi apocrife di Enoch e dalla cabala degli ebrei penetrata in Europa attraverso il mondo arabo. Non è dunque un prodotto esclusivo della cultura ebraica, ma non v’è dubbio sull’alto grado di complessità che l’ebraismo ha saputo sviluppare intorno a questa disciplina del pensiero.

L’allegoria dell’albero cosmico attraversa non solo le religioni, ma la stessa filosofia. L’influenza delle religioni sull’immaginario collettivo è stata a lungo indagata dalla psicoanalisi a partire dal Novecento, noi oggi siamo consapevoli di quella ‘vana fuga dagli dei’ che la stessa mente scientifica vive come una contraddizione. Coscienti di un limite oltre il quale non può spingersi la nostra conoscenza per la fallibilità della stessa natura umana, tutto quel che si trova oltre la barriera dell’insondabile rientra per noi in quel mistero che solo le arti, le religioni e la filosofia possono indagare in modo labile, fumoso, incerto, in cerca più di domande che di risposte. L’uomo laico, libero da promesse e vincoli di appartenenza a istituzioni religiose, può avvalersi di tutti i sistemi elaborati dalle religioni stesse per muoversi nel territorio inospitale del dubbio filosofico, come un cieco che si aggiri prudente ascoltando, fiutando, toccando, gustando l’ambiente sul quale s’interroga. Questo atteggiamento che rimane pur sempre scettico, logico, razionalista, si serve delle stesse categorie elaborate nel campo delle dottrine irrazionaliste e trascendenti, per compensare i limiti del pensiero lineare. L’importante è non confondere lo schema con la realtà, rimanendo consci del fatto che stiamo solo cercando di strutturare i nostri pensieri per poterli meglio ricordare, per farli risuonare l’uno con l’altro assimilandone il senso. Uno strumento fondamentale per l’arte della memoria, apprendere l’uso del quale è indispensabile attraverso una lunga pratica e un minimo di approfondimento sui fondamentali della dottrina.

La domanda a questo punto nasce spontanea. Se per imparare a ricordare abbiamo bisogno di tutte queste sovrastrutture, impalcature, architetture che richiedono una formazione tanto vasta, complessa, articolata, allora a che serve un’arte della memoria, quando possiamo dire di averla acquisita solo dopo aver già imparato (dunque assimilato, memorizzato) tutto questo materiale di supporto? E’ la domanda che ricorre da sempre in merito all’utilità di un approccio filosofico alla realtà, dal tempo dei frantoi di Talete. Il problema sta nel fatto che tendiamo a valutare l’importanza della conoscenza nella misura in cui questa diventa ‘produttiva’, ovvero sia strumento per ricavarne un guadagno spendibile, concreto, utilitaristico. L’amore per la conoscenza non è fondato su questa logica, poiché il filosofo dà molta più importanza alla ricerca del sapere che al conseguimento dello stesso, come un pellegrino che vive il transitus verso la meta come un’esperienza in grado di cambiare la sua vita. Per il filosofo è sempre più importante la domanda che la risposta. Letta in questa prospettiva, l’arte della memoria non è una disciplina che si può acquisire in un seminario, un corso a buon mercato che seguiamo a tempo perso tra una palestra e una pizzeria, una fiction e un best-seller, ma si configura piuttosto come un percorso che accompagna ognuno di noi per tutta la vita. Dedicare ogni giorno un po’ di tempo a noi stessi, alla cura del nostro mondo interiore, alla costruzione di quel palazzo dei palazzi che è la nostra enciclopedia personale, renderà sempre più efficiente la capacità di elaborare e armonizzare le conoscenze. L’ideale sarebbe potersi ritagliare non meno di un paio d’ore al giorno per poter effettuare questo tipo di studio, compatibilmente con gli impegni che la vita comporta. Chi può dedicarvi più tempo e chi meno, il valore non sta nel risultato, ma nel tempo che dedichiamo al lavoro su noi stessi.

Non è da tutti, qualcuno potrebbe pensare. Qui si annida forse il più pericoloso dei luoghi comuni, che il progresso intellettuale sia un privilegio per pochi eletti. Se così fosse, il progresso civile non avrebbe portato all’alfabetizzazione delle masse, che nell’arco di cinque secoli ha consentito a tutti di saper leggere e scrivere, sancito un diritto costituzionale all’istruzione per ogni cittadino. Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtù e conoscenza, queste le parole che Dante mette in bocca a Virgilio nella sua Commedia. Ognuno di noi ha non solo il diritto, ma la responsabilità di prendersi cura della propria mente. Chi lo fa seguendo un percorso di iniziazione religiosa, chi si dedica alle arti e alle scienze, chi pratica qualche forma di meditazione per star meglio con sé stesso e con gli altri. Non importa il livello che siamo in grado di raggiungere, l’importante è mettersi in cammino. La società del futuro ha bisogno di menti libere, aperte, ricettive. Più tempo dedicheremo all’evoluzione e al progresso civile, maggiore sarà la ricaduta del nostro impegno sulle generazioni che verranno dopo di noi.

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