Sergio Endrigo e le foibe. “1947” nella propaganda revisionista.
Sergio Endrigo non era fascista
Sergio Endrigo non era fascista, non fu nemmeno un cantante politico a dire il vero ma fu sempre molto amato dall’ambiente della musica impegnata, per via delle scelte poetiche e musicali sempre molto personali, mai scontate, nato a Pola aveva anche un pubblico affezionato in Jugoslavia, dove andò più volte a suonare. La canzone che dedicò a Pola, la sua città natale, non era un inno politico, al contrario. Esprimeva un sentimento del tutto intimistico, andò a cantare molte volte in Jugoslavia dove aveva un pubblico affezionato che lo seguiva. “1947” esce nel 1969, pochi anni dopo l’uscita della biografia di Mussolini di Renzo De Felice che viene genericamente considerata come il battesimo del revanscismo fascista in italia. Il revisionismo storico, come insegna il professor Angelo d’Orsi, docente di Storia delle dottrine Politiche all’Università di Torino, inizia in quegli anni. La propaganda neofascista raggiunge per vie inizialmente ambigue il mondo della canzone intellettuale e impegnata, instillando i primi dubbi e le prime false certezze nel popolo della ‘sinistra’ borghese di allora. Nell’anno della contestazione, di Valle Giulia, un cantautore impegnato come Sergio Endrigo introduce nella cultura politica della sinistra uno di questi temi che pian piano negli anni a venire monteranno fino a creare una realtà storica d’invenzione.
La strumentalizzazione politica
L’allora nascente revisionismo neofascista, paradossalmente, ha saputo servirsi proprio della canzone impegnata di ‘progressista’, di cui Endrigo è stato uno dei più rappresentanti, un cantautore che fascista non era, anzi, amico della fratellanza fra i popoli e della stessa Jugoslavia. Facendo leva sul sentimento personale del poeta, esule da Pola a 14 anni, per l’appunto nel 1947, sui suoi ricordi, chi ha prodotto quella canzone, chi ne ha finanziata la promozione, ha contribuito di fatto all’elaborazione di una narrazione falsa, che nel tempo diverrà sempre più invadente. Endrigo aveva raccontato i suoi ricordi in un tono intimista, ma la sua memoria personale e la poetica intensa della sua musica hanno insieme contribuito a propagandare il seme dell’interpretazione nazionalista e funzionale allo sdoganamento dell’occupazione italiana nei Balcani, delle stragi di cui l’esercito fascista si macchiò. Un classico esempio di quella che Umberto Eco chiamava ‘sovra-interpretazione’, una forma di manipolazione mediatica che negli ultimi vent’anni ha riscosso ampio successo a ogni livello. Da poche decine di morti (per lo più soldati) per rappresaglia nelle fasi più cruente della guerra, dopo l’8 settembre, si arrivò a far lievitare la realtà fino a decine di migliaia di poveri innocenti trucidati per vendetta di stato da parte della Resistenza Jugoslava, senza alcuna prova documentaria, senza nessun tipo di verifica storiografica, nessuna fonte credibile.
La falsificazione della storia
La falsificazione della storia era iniziata molti anni prima proprio con questo tipo di narrazioni struggenti e intimiste, come la canzone di Sergio Endrigo. Le canzoni girano in testa, condizionano la mente come spiega Deleuze nel suo fondamentale saggio sul ritornello, sono portatrici di valori e contribuiscono alla propaganda, anche quando non si presentano in modo esplicito come inni o canti sociali. A canzoni si fan rivoluzioni? Non è esatto, ma la narrazione è un’arma pericolosa se usata senza consapevolezza. E alla menzogna revisionista non hanno contribuito solo storici venduti alla reazione, ma gli stessi intellettuali della sinistra borghese, spesso inconsapevolmente. Oggi i versi di Sergio Endrigo sono diventati una sorta di libello politico nella propaganda revanscista e neofascista, non vi è governo che nel riconfermare la distorta narrazione delle foibe non abbia almeno una volta fatto riferimento ai versi di quel canto struggente, la sua “1947”.