Il trombone pescespada. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.4


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Via del Pratello, Bologna. Negli anni ’90 la storica occupazione dello storico numero civico 76, poi sgomberata e migrata prima in via del Lazzaretto, poi nella zona industriale. Caronte viveva lì

Il Trombone
Pescespada

Frammento IV

Commento musicale:
T. Waits, “Swordfishtrombones”
FAI PARTIRE LA MUSICA

VIA DEL PRATELLO 76

Ho avuto fortuna, credo. La prima volta che vidi il trombone pescespada fu in una pozzanghera di via del Pratello a Bologna, provava a deporre le uova ma gli marcivano subito nella nafta dei motorini. In quegli anni si raccoglieva intorno alle case occupate una quasi raffinata boheme di scapigliati, gente che in comune aveva a malapena lo spazio e il tempo quando sceglieva di condividerlo, ma che un po’ per scelta un po’ per caso ebbe la ventura di crescere insieme, vivendo per un breve periodo qualcosa di irripetibile. Sopra all’osteria del Montesino, dove ogni lunedì si tenevano letture di poesia e stravaganti performances situazioniste, dove all’entrata una gigantografia di Fidel Castro ti dava il benvenuto come dire: tranquillo sei a casa ti porto il fragolino, potevi incontrare nella stessa sera allo stesso tavolo che beveva allo stesso bicchiere, una cavalleria rusticana di personaggi che oggi non lo diresti ma allora si consideravano fratelli d’arme con cui dividere il vino, il fumo e qualche volta le bastonate della celere. Nomi che non voglio fare perché non sta bene, adesso camminano sui petali di rose e firmano autografi da mille e una notte ma in quei giorni tutto era diverso, avevamo vent’anni e davanti a noi no future: via del Pratello un cantiere scoperchiato con folle inumane di baccanti, vino e salsicce, musica a ogni angolo del portico; le prime televisioni fai da te col VHS del pleistocene e un baracchino tenuto insieme col nastro isolante mandavano in onda cose nemmeno immaginabili adesso, con la poetessa-beat che salmodiava ritta in piedi accanto alle peonie del proprio stesso terrazzo e il primo porno-selfie in presa diretta di cui abbia mai sentito favoleggiare.


Il quartiere del Pratello ha un significato profondo per Bologna, ne rappresenta l’anima ‘popolare’. Qui sopra un biglietto appeso al muro nella via ristrutturata a nuovo, vent’anni dopo lo sgombero delle case occupate.

COMPAGNI DI BOHEME

Una congiunzione inspiegabile, sfidava le leggi della semantica. Il trombone pescespada scodinzolava come un pescecane, si scomponeva e ricomponeva ogni volta con facce, strumenti, bocche, braccia diverse, mischiando ogni sorta di recital sound punk beat funk skiffle glam trash yiddish balkan jazz pop art visual cyber techno rag new-wave. Dove il basso a tiro fornicava con le latte dell’olio, un clarinetto armonizzava il kazoo a quinte parallele, la chitarra sguazzava nel ronzio del magnete e scimmiottava il crepitare del cavo. Eppure l’impossibile accadeva sempre, chissà forse era soltanto la voglia di stare insieme, di sentirsi meno soli nella trottola urbana dell’ingranaggio produci figlia e crepa. Fatto sta che accadeva. Quando sul Pratello scendeva l’oscurità, nel senso che mancava proprio l’illuminazione pubblica, allora in osteria, in piazza, dappertutto il trombone pescespada guizzava tra bicchieri e damigiane montate sul carretto cambiando sempre forma, colore e sostanza, ma era sempre lui. Siamo cresciuti in quel mondo attaccandoci l’un l’altro, imparando uno dall’altro, scrivendo uno per l’altro; non eravamo amici, non si può nemmeno dire che ci volessimo bene: eravamo compagni di boheme, che può voler dire molto meno o anche molto più.

Penso di avere avuto fortuna, peccato non sia durata molto. Col tempo si finì per seguire un copione sempre lo stesso, tutti sembravano più interessati a mostrarsi, o a turbarsi, o a un misto delle due cose; intorno alle salsicce  bigliettini fitti di numeri a nove cifre, indirizzi di persone che contano. Venne l’Europa e per qualche anno sembrò il paradiso in terra, soldi per incidere stampare distribuire organizzare così ognuno prese la sua strada e qualcuno è sparito dalla circolazione, il numero da lei chiamato è inesistente. Quando non li sentivi e non li vedevi più alla radio alla televisione sul giornale, eccoteli di nuovo nel bar a lamentarsi per quella tesi di laurea mai discussa, ma alla prima occasione riprendevano il volo e chi l’ha più rivisti. Il trombone pescespada però, lui non l’ho mai perso di vista: lasciavo che mi nuotasse in testa e ancora oggi quando sono a corto d’idee lo porto al laghetto dei tritoni, lui tutto contento guizza battendo la coda sui sassi a ritmo di boogie. E’ un pesce d’oro e caca gemme preziose.

Continua
Frammento V
La favola della merda


artisti di strada gigi russo
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