L’Uovo del Serpente, leggenda di Montovolo.
L’Uovo del Serpente
Leggenda di Montovolo
Parole e musica di Federico Berti
Valter Colle Edizioni Musicali
Nota Musica / Ossigeno S.r.l.
Sopra quel monte
Ci sta una pietra
Liscia e rotonda
Dove la serpe
Sorveglia l’uovo
Mattina e sera
E nella buca
Un gran tesoro
Difende fiera
E tutt’intorno
La notte e il giorno
Lei veglierà.
Vai pur sicura
Vai pur contenta
Figliola cara
Vuol solo un bacio
Appassionato
E una carezza
Vedrai allora
Quella catena
Che la si spezza
E un gran signore
Su quella pietra
Vuol far l’amor.
Dall’alta rupe
una colomba volar
tra gli angeli vedrai
al cielo ritornar
Sopra quel monte
Andar non posso
La mi rincresce
Il re serpente
Ha un dente d’oro
Avvelenato
E cadrei morta
Dov’è quel sasso
Che m’ha sposato
O cara madre
Se mi vuoi bene
Non mi mandar.
Voglio sposare
Quel giovanotto
Che a me sospira
E che mi canta
E che mi suona
La serenata
Quando la testa
Del re serpente
Sarà tagliata
Sopra quel monte
Sul quadrifoglio
Farem l’amor
La leggenda
di Montovolo
Materiali di approfondimento sulla leggenda del serpente di Montovolo ricordata dallo storico ottocentesco Arturo Palmieri, nativo di Scola.
Il nome di Montovolo non è precedente il XIII secolo, prima si chiamava ancora ‘Monte Palense’, dal nome dea lunare Pale, che proteggeva le greggi e chi se ne prendeva cura, venerata dagli abitanti di queste zone in tempi di sicuro anteriori alla cristianizzazione. Un’ipotesi di Renzo Zagnoni mette fa derivare piuttosto il nome di Montovolo da Mons Iovis, ovvero da Monte Giove. Molte le leggende che si raccontano intorno a questa montagna, dov’è stata scoperta nel 1925 una cripta paleocristiana che ne testimonia l’antichità del culto. La leggenda di sant’Acazio e il martirio dei 10.000 soldati cristiani crocefissi agli alberi nei dintorni del santuario, è riportata dall’arcivescovo di Bologna nel XII secolo in funzione di propaganda guelfa, non risultano conferme e anzi, la legenda aurea di Jacopo da Varazze la colloca altrove. E’ però documentato l’incendio della chiesa attribuito alla nobiltà ghibellina della montagna, e la sua ricostruzione da parte del vescovato bolognese, che testimonia senz’altro una situazione tutt’altro che serena intorno al monte sacro.
Un discorso a parte merita la leggenda riportata sempre da Arturo Palmieri e dallo stesso Zagnoni, della croce di fuoco apparsa ai crociati di ritorno dalla Terra Santa, che potrebbe spiegarsi con un fenomeno piuttosto diffuso nell’antichità da queste parti, essendo il sottosuolo ricco di gas metano che talvolta prendeva fuoco nell’aria dando spettacolari fiammate che i contadini della zona ricordano ancora come la Venere, o il Diavenere, che passa e brucia tutto. Ricordiamo che a Pietramala, non lontano da Montovolo, è ancora attivo un impianto di estrazione e distribuzione di metano per auto e che non raramente si poteva assistere al fenomeno delle fiamme libere nell’aria. Il territorio è inoltre interessato ancora oggi da fenomeni vulcanici di tipo non eruttivo, testimoniati da luoghi altrettanto sacri come il sasso di San Zenobi al passo della Raticosa, la vicina rocca di Cavrenno, il vulcanetto Dragone a Sassonero. Non stupisce dunque se la visione della croce infuocata nel cielo possa ritenersi credibile e realmente avvenuta, né possiamo biasimare l’intitolazione dell’oratorio a Santa Caterina d’Alessandria, che spesso ritroviamo associata proprio alla ritualità del fuoco.
Più recente dev’essere la leggenda del serpente arrotolato intorno all’uovo, riportata dal Palmieri solo nel secolo XIX e di probabile origine ecclesiale, in cui si racconta di un serpente arrotolato intorno a una pietra tonda per custodire un gran tesoro in una buca, che attende il bacio di una donna per potersi tramutare in un uomo. Non siamo riusciti per il momento a ritrovare fonti precedenti ma riteniamo che lo storico bolognese, nativo dei paesi intorno al Montovolo, l’abbia tratta dalla tradizione dei predicatori mendicanti, come quel Leandro Alberti a cui tuttora è dedicata una via a Bologna, che raccontò il mito di Aposa facendolo risalire all’età del bronzo. Di scuro sappiamo solo che il territorio della montagna bolognese era stato indicato dalla propaganda fide come un luogo in cui era quanto mai necessaria un’intensa attività pastorale, per contenere fenomeni di religiosità ‘borderline’ che interessarono anche il Sant’Uffizio. E’ possibile che questo rientrasse nella logica dell’identificazione in loco di potenze ascrivibili alle divinità testimoniate dagli scritti neoclassici, neopitagorici, ermetici, tornati a circolare fin dal XV secolo.
La leggenda del serpente arrotolato intorno all’uovo, era infatti un richiamo al mito di Apollo che uccide il drago Pitone custode del santuario di Delfi, le sacerdotesse del dio non a caso venivano chiamate ‘Pizie’ ovvero Pitonesse. Il riferimento al dio classico si ricollegava al tema delle due colombe raffigurate sul lunotto della chiesa in Montovolo e testimoniato nelle descrizioni del santuario delfico. Improbabile o comunque non confermato l’accostamento con le uova di pietra che sormontano le tombe etrusche nella necropoli di Marzabotto, il nome del sacro monte diffuso a partire dal XIII secolo non si riferiva a un piccolo sasso ma piuttosto all’ammasso roccioso noto come il Balzo di Santa Caterina, di probabile origine vulcanica come la Rocca di Cavrenno a Monghidoro e possibile teatro di fenomeni naturali legati al fuoco.
Un altro elemento ‘apollineo’ nel complesso di Montovolo è la presenza di una Madonna Nera nella chiesa intitolata solo nel XIX secolo alla Vergine della Consolazione. Costruita nel ‘300 da un anonimo scultore, in occasione dell’ultimo restauro, nota il prof. Baccolini, la sua pelle è stata schiarita. Questa presenza ha indotto a ipotizzare un collegamento con il culto di Iside, presente anche a Delfi. Si riscontrano inoltre diversi toponimi legati alle leggendarie Sibille, vergini sacerdotesse di Apollo, dal borgo di Sumbilla a Monghidoro, al tempio delle Sibille su Monte Venere. E’ possibile che questi elementi siano stati riconfigurati dagli stessi predicatori in funzione della loro propaganda fide per ristabilire un controllo sulla religiosità popolare a partire dalla Controriforma.
Prima della ricostruzione della chiesa, inaugurata nel 1211 come sembra suggerire la data posta sopra alle due colombe sul lunotto anteriore, sappiamo che il luogo era stato interessato da una forte presenza longobarda, trovandosi proprio sopra una via di transito per la Toscana. Con la cacciata dei Longobardi, che com’è noto seguivano il culto Ariano, è stata necessaria una nuova evangelizzazione per riportare il territorio nella sfera della confessione cattolica. Prima del IV secolo è testimoniato il culto della dea Pale, protettrice dei pastori, cui verosimilmente potrebbe essersi sovrapposta per un certo periodo la dea Iside dai mille nomi, che nel II secolo dopo Cristo era molto diffusa in tutta la penisola. E prima di allora? Non lo sappiamo. Il racconto tramandato dal Palmieri, di probabile origine ecclesiale, è senz’altro quello che fa riferimento a una presenza Micenea testimoniata dalle recenti teorie sulle migrazioni dal Mar Nero nell’età del bronzo, portatori di una religiosità forse non estranea ai sacrifici umani, su cui ben poco sappiamo a dire il vero. In questo senso il mito delfico del re serpente non è poi così diverso da quello di San Michele che uccide il drago nel vicino santuario di Boccadirio. Ma questa è un’altra storia e l’hanno raccontata in tanti.
Galleria fotografica su Montovolo:
https://youtu.be/rW8BijFO1Dc