L’angelo della robotica. Romanzo di fantascienza. Libro, Ebook

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L’angelo
della robotica

L’ospedale fantasma n.4

Romanzo di Federico Berti
FANTASCIENZA ITALIANA

UN FALSO D’AUTORE

Sublime il trascorrere del tempo che corrompe la fragilità del bello, ogni sera al tramonto i raggi del sole disegnano un barocco teatro delle ombre in cui trovano posto figure irregolari, linee spezzate, frammenti in contrapposizione che s’infilano uno nell’altro dando vita a un’opera multiforme, cangiante, imprevedibile nel suo continuo mutare. L’alba porta con sé il luccicare dei vetri infranti, dall’oscurità notturna emergono travi sconnesse, porte scardinate, tavoli  infermi. Se la luce naturale non basta, qualche lampadina appesa a un filo e candele sparse ovunque nei locali dell’istituto, danno all’ambiente un’illuminazione sempre diversa. E’ un costante divenire, non sembra mai lo stesso luogo in cui abitavi il giorno prima. La bellezza a volte sa prendere un aspetto insospettabile, si veste di sporco, indossa un mantello lacero, una maglia scolorita. “E’ una predisposizione dello spirito” spiega il pittore messicano tirando su col naso e grattandosi uno zigomo coll’unghia sporca dell’anulare, mentre la punta del pennello stretta fra le dita ruvide oscilla schizzando il colore tutt’intorno; un dipinto nel dipinto, l’intero studio nel suo romantico disordine sfoggia quelle gocce di vernice con lo stesso orgoglio d’una cortigiana che mostra i suoi gioielli.

Pare si guadagnasse da vivere falsificando soldi il latino, aveva riprodotto valuta da ogni parte del mondo che scientificamente metteva in circolazione attraverso una vasta rete di contatti. Stampava pochissime unità per volta, le usava per acquistare beni materiali di scarso valore all’estero da rivendere sotto costo nei luoghi più improbabili utilizzando false carte di credito per convertire il denaro in moneta virtuale. Nessuno sospettava di lui fino al giorno in cui si verificò una singolare coincidenza, gli venne commissionata la matrice d’una valuta reale dal poligrafico dello Stato: non doveva ricopiare il disegno d’un biglietto esistente ma produrne uno e firmarlo, era la prima volta che gli capitava di svolgere quel mestiere in modo completamente legale. Dopo aver consegnato un lavoro impeccabile al cliente, gli venne la brillante idea di falsificare la moneta da lui stesso creata, fu allora che la magistratura s’insospettì quando vennero denunciati più biglietti con lo stesso numero di serie, senza nessun particolare evidente a distinguerne la mano: durante le indagini sul suo conto venne alla luce l’incredibile apparato che Sandino, questo il nome del pittore, aveva messo in piedi. Vive qui dipingendo su tele che gli portano in dono gli abitanti del paese, per ricambiare dà lezioni gratuite ai loro figli.

Dalle tre arcate filtra ancora la luce del giorno andando a incendiare il cavalletto, quei colori sembra quasi vogliano sollevarsi dalla tela; ogni sera a quest’ora quando il fascio di luce dona all’opera una scintilla che sembra emanare dall’interno, Maria vien qui e si ferma davanti al suo ritratto fino a quando l’oscurità non l’inghiotte. E’ una macchina di ultima generazione progettata per accogliere gli spettatori nel cinema di Lusiano, strappare i biglietti e guidarli tra le poltrone in penombra; le han dato un design pensato per il pubblico dei cinefili, per qualche anno è stata la maschera più amata dai bambini del paese, quando poi l’ospedale Alderico Barbacani infilò la sua parabola discendente i volontari dell’associazione vollero farne dono alla struttura, l’androide venne quindi riprogrammato e iniziò a svolgere funzioni di sorveglianza armata. Sandino l’ha ritratto in forma umana dipingendo il suo volto così come secondo lui avrebbe dovuto apparire se fosse stata una donna reale; Maria da quella volta rimane incantata ogni giorno per diversi minuti innanzi al quadro, come un’adolescente scopre allo specchio il seno che spunta sotto la camicia da notte. Il quadro non è stato mai rimosso dal cavalletto, ormai viene considerato parte integrante dell’arredamento.

IL COMPRENSORIO
DELLA VAL SARACCA

Ho creduto di morire. Isolato dal mondo, confinato in una casa degli spiriti dove non appena t’affezioni a un luogo lo vedi cambiar volto, mi sentivo prigioniero a vita nel cubo di Rubik manipolato da un folle demiurgo. Inadatto per decreto alla vita militare non avrei potuto sopravvivere a un’ordinaria detenzione, la galera m’avrebbe consumato in poche settimane. Perciò son finito qui, nell’ospedale fantasma. E’ stato il pittore a sollevarmi nella disperazione profonda, “L’uomo può adattarsi alle situazioni più ostili” disse una volta. Aveva ragione, in fondo siamo vivi. Quando vieni assegnato a una colonia penale sanitaria il ministero mette a disposizione la rete del letto, un materasso da arrotolare ogni mattina, doppie lenzuola, un filo dove stendere i panni.

Devi lavarteli a mano però. Se ti rubano la gavetta, prima che ne venga consegnata un’altra fai in tempo a morire di crampi all’intestino, dunque portala sempre con te. La maggior parte degli ospiti la tiene in cintura come i frati mendicanti. Hai solo un piccolo armadio verticale a disposizione e un lucchetto per gli stracci che porti addosso, nessuno lo chiude mai a chiave perché scassinarlo è uno scherzo da noviziato del crimine. Il denaro qui dentro non ha valore, non sono previsti scambi in moneta, un favore si paga in tempo messo a disposizione. Gli internati vengono in parte dalla pianura, in parte dalla comunità montana della Val Saracca, il nostro comprensorio: avrò l’occasione per tenere a colloquio testimoni locali, è probabile che attraverso le loro memorie personali possa ricostruire alcune delle vicende legate all’omicidio in biblioteca, ciò potrebbe aiutarmi a sciogliere ogni sospetto sul mio conto. Dovrò muovermi con cautela per non insospettire i dannati di questo cerchio infernale, tenendo presente che non siamo soli tra queste mura ma cento, mille occhi sono costantemente puntati su di noi, qualsiasi cosa potrà essere usata contro di me in sede di giudizio.

Non ho l’autorità per un interrogatorio formale, posso solo ricavare qualche dettaglio da conversazioni informali con i detenuti. Il vantaggio forse più interessante è che non esistono porte chiuse qui dentro, ogni stanza rimane sempre aperta; ciascuno è libero di muoversi all’interno dell’edificio, si può accedere anche al giardino senza incorrere in sanzioni. Persino il cancello deve restare aperto giorno e notte per le visite dall’esterno, fermo restando che appena un detenuto varca la soglia scatta un allarme in rete e il paese intero viene circondato, gli elicotteri pronti a sorvolare la zona, posti di blocco ovunque. Nessuno è mai riuscito a scappare. Quelli che han voluto provare son finiti in isolamento nel seminterrato, dove i topi ti mangiano il cuscino mentre dormi; non resta che rispettare le consegne, svolgere i compiti per tirare avanti la carretta e ricostruire i dettagli di quella morte sciagurata dalle notizie che riesco a raccogliere.

La vittima aveva previsto ogni cosa, era descritta nel suo libro quella scena, dono profetico del quale farei volentieri a meno. Dormiva in biblioteca l’architetto, il paese lo accudiva amorevolmente, conoscevano la sua storia poiché anche loro avevano letto il romanzo. Non l’avessi pubblicato assumendo sulla mia persona ogni sospetto, forse gli inquirenti avrebbero cercato corrispondenze fra i personaggi del racconto e la vita reale, senza alcun esito. Ho provato anch’io, è impossibile. “L’immaginazione conta più del sapere” disse un’anziana donna al tavolo dell’osteria, ora capisco perché quel pover’uomo s’è rivolto a me. Come lui stesso ripeteva sempre la realtà non esiste o meglio è un costrutto sociale, siamo noi a crearla ogni volta che la pensiamo. Per scagionarmi non serve una prova inconfutabile ma un racconto convincente e se una cosa non manca fra queste mura, è il tempo di scrivere. (Continua)

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