Infoterapia. Memorandum Tripoli. La questione delle acque territoriali.

Memorandum Tripoli

Sono contro quelli che li sfruttano

In collaborazione con Villa Maia
via Altura 7, Monghidoro (Bologna)

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Firmato uno storico memorandum fra il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il premier libico Fajez Al Serraj in merito al supporto accordato dal governo italiano alle forze armate di Tripoli per il controllo delle acque territoriali sulle coste africane. Nel leggere l’articolo alcune ospiti della casa di riposo hanno commentato quanto segue, interessante prospettiva in cui emergono aspetti dell’Italia coloniale non estranei all’emigrazione clandestina e allo sfruttamento degli irregolari. Trafficanti d’uomini, ieri come oggi. 

Contro quelli che li sfruttano

Per me è giusto eliminarli, vero o no? Lo trovo giusto, è ora.  Direi di sì, se non è giusto questo… Non sono contro gli immigrati, sono contro quelli che li sfruttano. Poveretti, non bisogna fare di tutta un’erba un fascio. Sono contraria anche a quelli che fanno i furbi e si rifugiano qua pure se a casa loro non c’è nessuna guerra, sarebbe meglio se si potesse controllare che uno dice la verità quando vien qua, ma è difficile. Dico quella cosa lì, che il marito di mia sorella aveva i genitori emigrati a Tripoli al tempo del fascio; col primo marito di lei s’erano sposati per procura. Dopo un po’ ha deciso di andare là, allora quando han fatto per imbarcarsi passarono tutta la notte nel porto che non son partiti, lei s’è innamorata di un altro, invece di andare dal marito è tornata a San Venanzio e si sono sposati. Il primo matrimonio, non consumato, si poteva annullare. Lavoravano la terra da una parte e dall’altra così quello che trovavano dai contadini, dai padroni; c’era della miseria, niente lavoro, eran poveri, molto poveri. Lei veniva con noi anche se non la prendevano: rimaneva a mezzogiorno e cantava, davano qualcosa da mangiare a noi e un po’ anche a lei perché non aveva niente. Cantava, le davano qualcosa. Allora sono andati a Tripoli. Lì han trovato da lavorare, vennero dei figli che poi son tornati in Italia sempre sotto un padrone, s’erano riscattati un po’. I genitori però son tornati morti, li portarono a San Venanzio per metterli in terra.

Lo prendevano sempre di mira

Mio babbo è andato in là perché non andava d’accordo coi politici allora lo prendevano sempre di mira, venivano anche a casa delle volte, io me lo ricordo avevo una maglietta rossa e mia mamma pure, così dicevano: “Che simpatia per il rosso!”. Gli è capitata un’occasione, penso che sia andato in Africa per via dei padroni. Partì che avrò avuto 6-7 anni, tornò che qua c’era stata la guerra, ero già fidanzata ma lui non voleva perché preferiva avessi seguito a studiare, quindi dovevo avere 17-18 anni. E’ stato via una decina d’anni, Tripoli, Bengasi, Addis Abeba. Lavorava in un’officina meccanica. Poche foto sue, mi ricordo queste che non le aveva prese lui, era roba già pronta, di donne, belle ragazze magari un po’ mezze nude ecco. Dico che avevo dei cugini, qui in Italia non trovavan lavoro, avevan studiato allora andarono in Africa e là stettero bene; dopo tornarono tutti contenti, ma si dovettero iscrivere al partito fascista per vivere. Qui in volevano che fossero fascisti, dovevi avere la tessera, anche mio padre nel consorzio agrario; partirono che avevo 13-14 anni, quando tornarono ero più grande, sui 17-18. Scriveva che si trovavan bene e non sarebbero tornati, invece poi tornarono ma forse prima dell’8 settembre. Avendo studiato andarono impiegati dei consorzi agrari.

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Marie Guillemine Benoist, portrait d’une negresse

La maggior parte non eran controllati

Da noi a Riola di Vergato andavano in Africa come adesso vanno in Germania, miei parenti ce n’è stati parecchi, lavoravano 6-7 mesi, c’è chi è rimasto anche là; avevano il problema di mandare i soldi perché loro non volevano che esportassero moneta e i nostri invece andavano là per i quattrini; non eran tutti antifascisti, qui non avevan lavoro le chiacchiere son poche, noi in Italia siamo un popolo ricco di manodopera ma bisogna emigrare. Un cugino di mio padre è ancora là, partì nel ’36 dice che ha sposato un’inglese e si è formato un’azienda agricola sua pian piano, cominciato dal poco e s’è ingrandito; ha detto un mio parente che commercia con le aziende italiane. Ha ancora la casa qui, comunica con una persona e allora questa gli ha anche detto se voleva vendere, ma non vende. C’è poi quelli che sono partiti alla ventura, chi andò bene e chi invece poveretto ha dovuto chiedere i soldi per tornare indietro: se avevano un contratto di lavoro, quelli o poco o tanto che guadagnavano andavano alla sua famiglia, invece chi partiva alla ventura la maggior parte non erano controllati da nessuno e venivano sfruttati da questa gente che li prendeva a lavorare, capito? Inglesi, almeno per quello che ho sentito io. Aziende inglesi che prendevano questi operai e li sfruttavano al massimo. Quella è la storia. Ricordo un cugino di mio padre, gli altri no. Lui è tornato perché aveva della roba qui; ha venduto tutto e poi è riandato là, poi lui la racconta grassa, magari uno che ha visto la racconta magra. Scoppiò la guerra e gli inglesi gli presero tutto, dicono che s’eran fatti padroni di vasti terreni insomma, poi glie l’hanno ripresi a sua volta. C’è chi è ritornato a casa raccontandola alla sua maniera, sai ero un ragazzino e ne sentivo parlare quando andavo a vendere i lupini al sabato sera e alla domenica pomeriggio. Lo dicevano nelle osterie, mentre ero là col mio paniere.

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