Cosa fare a scuola quando t’annoi. Gli anziani raccontano. Imparare è ricordare. Libro, Ebook
L’istruzione
e il diploma
I bambini s’annoiano a scuola
Gli anziani raccontano
Interviste in casa di riposo
CINQUANTA ASSENZE ALL’ANNO
“Fossero qui da me gli darei due schiaffoni. Se uno abitua i bambini con una certa educazione, dopo a scuola ti comporti diversamente. Mio marito era abbastanza severo, ci teneva; a vederci con tutta la scollatura in quella maniera, mio babbo ci metteva sotto terra. Avevamo il grembiulino nero col colletto bianco, ho studiato tanto per imparare il nodo alla cravatta, chissà se loro lo saprebbero fare: adesso le vendono col nodo già fatto! Mancavo da lezione solo se stavo poco bene ma con un malessere da poco mi mandavan lo stesso, altro che cinquanta assenze l’anno. Ho smesso alla terza elementare perché c’era troppa strada da fare, noi s’andava a piedi. In realtà dovevo andare da Scanello a Quinzano, si passava da Montegrande. Lì il padrone dell’impresa aveva fatto una scuola bellissima però a un piano solo, così ci stavan solo le prime tre classi alla mattina. Invece nel pomeriggio andavano alle superiori fino la quinta. Sarà stato tre chilometri per me, anche se c’era chi abitava più lontano. Mi sarebbe piaciuto perché forse così c’era qualche scappatoia da non fare la contadina. I miei fratelli han continuato, perché loro potevan venire a piedi anche dopo quand’era buio. Loro erano maschi. Il più grande fece altri tre anni. Le donne incominciarono a studiare solo qualche anno più tardi. Io solo la quinta volontaria, avevo da spigolare nei campi, o a cavar le patate quel che era, portavo qualcosa in casa non avevo tempo. Ma ci sarei andata ancora a scuola, ero bravina mica per vantarmi però mi piaceva. Purtroppo a quei tempi un maschio anche se stupido poteva fare gli studi, una femmina anche se intelligente doveva stare in casa. Io se studiavo, in politica facevo strada. Era un’opportunità, c’è poco da fare. Andavo sempre via con mio padre alle riunioni in mezzo alla settimana, “Ma te fai la scuola? Dicevano. “I miei non vogliono”, rispondevo”.
NON APPREZZANO QUEL CHE HANNO
“Quando vennero i fascisti ero in prima elementare passarono in testa dalla parte del maestro e colle bandiere le stendevano fra gli alunni; siccome io mi misi a ridere, allora sono stato bocciato anche se andavo meglio dei miei compagni. Nella seconda elementare avevamo lo stesso maestro che non era molto a posto, poco gentile insomma: se un ragazzo faceva una piccola cosa lui magari ci storciava l’orecchio. Così abbiamo reagito, ma tutti insieme. Dissi agli altri: “Quando entra che va dietro in piedi e noi dobbiamo salutarlo, prendiamo quei calamai che una volta erano di vetro grosso piantati nel banco, glie li tiriamo dietro”. Qualcuno gli è arrivato pure addosso, tutto il muro sporco; dopo sai, lì è arrivato il direttore e insomma non l’abbiamo più rivisto, neanche gli altri anni. Perché è andato al manicomio. Quando poi finii gli studi e tutto il resto a quattordici anni fui pure scomunicato, non potei più fare il chierichetto in chiesa perché papa Clemente aveva dato l’ordine che tutti quelli di sinistra, partigiani eccetera, non potevano più entrare in chiesa. Il prete mi chiamò, disse: “Mi dispiace, non posso più tenerti”. A quel punto siccome non volevo più saperne di nessuno, mi sono buttato proprio tutto a sinistra e tre anni dopo ero impiegato al Partito Comunista, che ci sono stato cinque anni. Mi stavo incanalando bene. Oggi i bambini non apprezzano quel che hanno, ma anche gli insegnanti delle volte non fanno entrare il mondo nella scuola e qualche volta se i figli si comportano così è anche un po’ colpa dei genitori”.
INVOGLIARE I RAGAZZI ALLO STUDIO
“Io ho fatto la maestra, alcuni dei miei colleghi arrivavano lì, si sedevano ma senza interessarsi alla vita dei ragazzi. Una volta forse esageravano anche un po’, ricordo una che tirò dietro al bambino una grossa chiave di metallo e gli spaccò il naso, oggi se lo fai ti denunciano subito. Giustamente, perché non bisogna far del male a nessuno. E’ anche vero che succede l’inverso oggi, in certe zone degradate sono i piccoli che aggrediscono fisicamente i grandi; ci sono professori a scuola che san farsi capire e rispettare, altri che fumano in classe addirittura! Se uno non è coerente, se non è una persona seria, non lo rispetteranno mai. Certo quando non han voglia di studiare dopo le medie li si mandi a imparare un mestiere, questa è una cosa saggia; inutile star lì a scaldare il banco. Quindi in sostanza noi ci rivolgiamo da una parte agli insegnanti, che facciano il possibile per invogliare i ragazzi, ma anche ai ragazzi di non sputare nel piatto dove mangiano. Non si rendono conto della fortuna, chi ha potuto studiare poco adesso ha dei rimpianti”.
IN AFRICA NON HANNO LE MATITE
“In Africa non hanno i quaderni e le matite, ma a scuola ci van lo stesso perché è un modo per riscattarsi dalla miseria. Anche scalzi e fanno tanti chilometri a piedi. Addirittura in India è il maestro che va in un villaggio e poi in un altro, così gira il paese in modo da dare un pochino d’istruzione a tutti. Anche noi andavamo a piedi, certe volte quando pioveva la strada era allagata e mio nonno doveva venire per aiutarci ad attraversare le pozze, cogli stivaloni ci prendeva in braccio e ci portava di là, poi lui tornava a casa e noi si proseguiva. Una volta studiavi anche per fare un certo lavoro, il ragioniere o comunque un mestiere che ti qualificasse, in modo da non essere per tutta la vita il garzone del contadino. Ora è diverso perché un titolo di studio ce l’hanno tutti, ci son dei laureati che fanno gli spazzini e allora bisogna studiare per sé stessi. Per nobilitarsi. Impara l’arte e mettila da parte, poi se vai a zappare è lo stesso. Al giorno d’oggi è così. Ho fatto la terza elementare, ma leggevo tanti libri anche dopo la scuola. Non perché dovevo lavorare, ma per me. L’istruzione ce l’ho anche senza il diploma”.