La trappola del consenso. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.29
La trappola
del consenso
Framm.XXIX
Commento musicale:
J. Haydn, Op.76. Quintetto d’archi n.2 ‘Quinten’
FAI PARTIRE LA MUSICA
IL VIOLINISTA
DI STRADA
Me lo ricordo a un angolo di Piazza Maggiore a Bologna, suonava il violino; veniva da quel paese dove l’estate non tramonta il sole, aveva un contratto nell’orchestra filarmonica di Helsinki. Un bel giorno prende su, rinuncia all’ordine e la quiete degli Iperborei per l’Italia dei fanfaroni, dice: si salvi chi può! A trent’anni prende in affitto una stanza in appartamento con una compagnia di studenti viziati, sai come sono quelli che tornano a casa ubriachi alle quattro del mattino e si mettono a discutere di filosofia davanti alla pila dei piatti da lavare. Lui s’alza presto al mattino per venire qui in piazza con un piccolo stereo a batterie, quelli da spiaggia li vendono a poco nei grandi magazzini. Suona direttamente sul disco. Mozart, Vivaldi, Haydn, Bach. Veste con dignità la stessa giacca di quand’era in orchestra a Helsinki, solo che al posto della camicia bianca e il farfallino ora porta un dolcevita scuro. Dopo i primi quindici giorni comincia a lamentarsi delle reazioni, non è tanto per l’incasso ma vorrebbe che almeno si fermassero ad ascoltarlo, invece no: lasciano cadere una moneta nella ciotola, poi spariscono dopo le prime sedici battute, salutando colla mano. Non è dignitoso.
Un giorno lo trovo impegnato in una vivace discussione col padrone del negozio davanti all’aiuola, quello non riesce a sentire i clienti e si lamenta col suonatore: ha la radio accesa, il muratore nel cesso che martella sul muro ma non è così semplice: il violino è diverso, una meraviglia, non lascia scampo. Uno scalpello dopo un po’ lo escludi, la musica invece ti avvolge, ti cattura, sei costretto ad ascoltare anche se non vuoi. “No guardi, solo taglie forti…” dice la cliente, “Può ripetere per favore? Parli più forte, la prego”. Così è iniziata. Ha dovuto prendere le sue cose e sparire di là, non c’era verso. La scena si ripete più volte, finché non gli resta che la piazza in fondo a via d’Azeglio, quella da cui parte regolarmente la telefonata in questura non appena metti il cappello in terra. Purtroppo lui non lo sa, non lo ha avvertito nessuno: come volevasi dimostrare, un milione di vecchie lire la multa. Puntuale come la bolletta del gas. E’ riuscito almeno a tenersi il violino. Da quel giorno si spaventa al primo segno d’insofferenza nei dintorni. Bologna, capitale europea della cultura.
Il nibelungo non si lascia intimidire. S’è accorto che inarcando il sopracciglio davanti a un passeggino, l’infante ne rimane incantato e la madre si ferma con lui. Nell’ordine seguono: lo scapolo, il divorziato, il vagabondo e non so quanti altri. Lasciate che i bimbi vengano a me. Ha scoperto l’arte della manipolazione e in poche settimane diventa un vero domatore di folle: lo incontro due mesi più tardi, non è più lui. Non suona più Vivaldi, ma Paganini. Vuole stupire. Al posto del girocollo, una giacca in stile Luigi XIV colla marsina bianca, due calze di lana tirate sopra i pantaloni e una parrucca da aristocratico viennese. Balla sul posto sollevando un misto d’ilarità, ammirazione, meraviglia. Sempre guardandoli negli occhi disegna col passo un cerchio sulla strada, per dare un ordine alla folla sparpagliata; non gli serve più una stanza dove abitare, ora dorme sul treno, in macchina, tra le panchine in Piazza Grande. E’ sempre in giro a suonare e guadagna bene.
L’ultima volta che l’ho visto eravamo in un ristorante del centro storico. Aveva appena tenuto ai commensali un’erudita conferenza a proposito della carta igienica nelle mutande, se non hai dietro il cambio. Utile rimedio al tubo che perde. In quel momento un bambino piangeva in braccio alla proprietaria del locale, lui non ci pensa due volte apre la custodia imbraccia il violino, glie lo suona nell’orecchio. Un minuto più tardi la creatura dorme col naso per aria, bocca semiaperta; l’ha annientato con dolcezza. L’ha incantato come Orfeo incantò la morte. Non mi piace, non è più lui. Saluto la compagnia, torno al carrozzone pensieroso. Caronte è là che fuma uno spinello dal buco del sedere sdraiato sotto un albero, mi guarda divertito osservando con insistenza il mio pantalone rosso a quadri, le scarpe nere lucide colla fibbia, la coppola da bombarolo irlandese, le bretelle verdi sulla camicia a quadri. “A ognuno il suo” dice. Ha ragione, la trappola del consenso non risparmia nessuno. Nemmeno me, per quanto mi sforzi di evitarla.