L’angelo disertore. Odissea in Etiopia.
L’angelo disertore
Odissea in Etiopia VII
Le montagne dell’Africa Orientale.
Arduino Viacante, legionario in congedo scampato al massacro di Adua, s’inerpicò sulla scogliera davanti all’ingresso del caseggiato, il Musolesi lo raggiunse e sedette al suo fianco. Parlò Ermete fingendo leggerezza, come se stessero piacevolmente conversando su frivoli argomenti. La bambina trovò posto sulle sue ginocchia. “Verrò subito alla questione, son qui per motivi personali. Sulle tracce di mio figlio Spartaco, anche lui disperso fra le montagne dell’Africa Orientale dopo la carneficina cui trovasti scampo. Di molti suoi compagni conosco la storia ma lui non so se sia caduto in battaglia o catturato dal nemico, o se la nave che lo riportava in patria sia mai giunta in porto. Per questo ora lo domando a te, pronto a sostenere il peso di qualsiasi verità”. Il giovane scrutava l’orizzonte, mormorò a bassa voce la sua risposta con voluta indifferenza. “Mai conosciuto nessuno con quel nome, però ho sentito dire che non tutti raggiunsero Asmara dopo la completa disfatta del nostro esercito, alcuni sono rimasti là. Conosco un francese che ha un’azienda di famiglia laggiù, importava caffè dall’Arabia e per diversi anni ha venduto sotto banco le armi ai partigiani di Harar. Pare che tanti nostri compagni siano passati dai loro campi d’addestramento, non solo guerriglieri, anche i quadri di comando. Forse tuo figlio è ancora da qualche parte laggiù. Meglio che passare la vita a nascondersi come un topo nelle fogne d’Europa, mendicando un lavoro servile col rischio di finire i suoi giorni in galera… Per quel che ne so alcuni di loro si nascosero nei monasteri cristiani sperduti fra le montagne. Una parte di quelli però considerava le religioni un colossale imbroglio e il clero una congrega di filibustieri, rifiutò dunque la protezione offerta dai preti abissini o dai pastori del circondario, andando piuttosto in cerca delle milizie popolari. Nelle osterie di Massawa si raccontano leggende molto antiche su questi due popoli, si prendono a coltellate da sempre”.
La resistenza etiope.
Ermete Musolesi rabbrividì. Aveva sentito anche lui la storia del primo Negus, che secondo una tradizione risaliva a molti secoli prima di Cristo: quel Menelik di cui si favoleggia, figlio del re Salomone e la regina dello Yemen, dicono avesse rubato l’Arca dell’Alleanza da Gerusalemme portandola in qualche posto ai cancelli del paradiso. Ma erano storie cui non credevano, a Roma. Arduino continuò a parlare sotto voce, senza guardare nessuno negli occhi. “Insomma, quelli che non vollero andar coi preti dovettero mettersi in cammino da soli, armati di qualche baionetta montata sui fucili rimasti senza munizioni. Si spostavano di notte a piccoli gruppi, per non dare nell’occhio; di giorno dovevano starsene ben nascosti, per quanto possibile fosse nascondersi tra quelle terre incolte e desolate. Molti di loro son finiti in pasto alle bestie feroci, altri consumati dalla dissenteria e dalla febbre, in ogni caso è probabile che una minoranza abbia raggiunto davvero le milizie Oromo nel sud. Altro non so dirti, se vuoi saperne di più devi sentire l’avvocato Potier, lui ha notizie più credibili. Posso mettervi in contatto. Fai molta attenzione, è uno che non passa inosservato”. Scriveva sui giornali il compagno Igor, l’avevano arrestato diverse volte per istigazione all’odio di classe, pare avesse pubblicato articoli in difesa dei lavoratori insorti difendendone parecchi in tribunale. Componeva canzoni, le impaginava su fogli volanti che poi distribuiva con discrezione ai cantastorie, le cantavano davanti alle fabbriche durante gli scioperi. Aveva diretto giornali di propaganda sovversiva, più glie ne sequestravano e più questi si diffondevano clandestinamente nel basso proletariato di mezzo mondo. Italiano di nascita era stato messo prima in carcere, poi al confino più volte. Un giusto e come molti giusti, dava fastidio.
L’angelo dei ribelli.
Dopo che il ragazzo ebbe parlato la bambina improvvisamente s’alzò in piedi, con due salti agile come una gazzella venne sopra lo scoglio più alto che si stagliava contro sole, ormai alto nel cielo. Così parlo: “Arduino ha detto il vero, sarà lui ad accompagnarti dall’avvocato. Non posso trattenermi a lungo, andrò a cercare i vostri compagni. Al giovane affido il vecchio”. Appena ebbe pronunciate queste parole, s’alzò in volo come una colomba e sparì nell’immensità del cielo davanti allo sguardo meravigliato del giovane, che restò a lungo in silenzio dopo quel prodigio. Senza dire una parola s’alzarono dalla scogliera ed entrarono nella locanda. Pranzarono insieme quel giorno, in silenzio. Il reduce ogni tanto sollevava gli occhi dal piatto e guardava il compagno chiedendosi chi fosse quell’uomo, al fianco del quale camminava una qualche potenza aldilà della sua comprensione. La scena di quel mattino l’aveva turbato profondamente. Bevve un sorso di vino, mentre la serva portava le pietanze. Mangiarono con appetito e trascorsero il pomeriggio conversando amabilmente per le vie di Marsiglia; la verità era che lui stesso doveva incontrare l’avvocato Igor Potier, con il quale si sarebbe visto al mattino seguente per discutere certe faccende che non stava a dire; l’appuntamento fissato per le dodici al Caffè degli Artisti, non lontano da lì. Meglio così, tornare in Italia sarebbe stato rischioso per il fuggiasco Ermete. Quando venne la notte il giovane insistette per riposare s’una sedia, lasciando il letto al compagno più anziano. Al mattino dopo il maggiordomo di palazzo Ermete Musolesi, scappato da Roma per aver denunciato la corruzione in Parlamento, criticato la politica imperialista del governo e maledetto la repressione del movimento operaio, uscì dall’ostello trovando il ragazzo già vestito che sorseggiava il caffè al tavolino sulla strada. Portava un bel foulardt rosso al collo, il berretto calato sulla fronte. “Facevo sempre così, in Africa. Mi levavo al sorgere del sole per godermi lo spettacolo meraviglioso del giorno che nasce. Il carro di Apollo che saluta all’orizzonte, ogni volta mi chiedevo se l’avrei visto ancora!”. Dalla tasca trasse un pane, lo spezzò e ne porse una metà al compagno. Poi s’incamminarono insieme verso il luogo dell’appuntamento.
Odissea in Etiopia, episodio VIII
L’avvocato degli anarchici
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