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Librai ambulanti da Montereggio a Bologna.

Librai ambulanti a Bologna
Libraio ambulante. Fotor/Berti

La tradizione dei librai ambulanti risale al Cinquecento ed è tradizionalmente associata al paese di Montereggio nella Lunigiana; ha pure il suo eponimo, tale Sebastiano da Pontremoli che studiò l’allora innovativa arte della stampa a Milano. Allora i libri erano preziosi e costosissimi, potevano permetterseli più che altro nobili, intellettuali, prelati (si pensi al Don Chisciotte di Cervantes, che ‘dilapida il patrimonio’ in libri di cavalleria). La produzione libraria, sebbene rivoluzionata dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, rimaneva un processo laborioso e quindi costoso, con volumi spesso decorati e rilegati con materiali pregiati.

Nell’Ottocento l’attività dei librai ambulanti ricevette un impulso enorme dall’alfabetizzazione delle masse, ogni anno gli ambulanti si incontravano al Passo della Cisa, per dividersi le piazze e scambiarsi conoscenze sul territorio; in quel periodo si passò alla distribuzione di edizioni più economiche, stampate su carta di qualità meno pregiata per garantire prezzi accessibili, rifornendosi da editori come Barion, Salani e altri pionieri del settore.

Bologna, con la sua antica università e il vivace ambiente culturale, divenne uno dei centri principali per i librai ambulanti, conosciuti localmente come “librai pontremolesi“, poiché si sapeva che venivano dalla Lunigiana. Le loro attività si concentravano prevalentemente sotto i portici intorno a Piazza Maggiore, via Rizzoli, via dei Foscherari e via Indipendenza. I clienti dei librai ambulanti bolognesi potevano essere studenti universitari, accademici in cerca di testi scientifici, collezionisti interessati a volumi rari, cittadini comuni attratti dai prezzi accessibili, e appassionati di lettura di ogni estrazione sociale.

Il mestiere del libraio ambulante richiedeva delle competenze tutt’altro che da poco: oltre alla conoscenza approfondita dei libri e degli autori, si doveva essere tagliati per la vendita, abili nella gestione del carretto e della logistica, adattabili alle situazioni, organizzati e soprattutto bisognava sentire proprio un impulso interiore profondo verso la promozione della cultura. I carretti erano costruiti in legno, robusti e progettati per resistere all’usura del trasporto. Dovevano avere anche una struttura coperta per proteggere i libri dalle intemperie e per fungere da deposito. Il carretto era anche un banco di vendita e in alcuni casi, veniva caricato su un veicolo più grande nel quale si potesse dormire.

La tradizione dei librai ambulanti ha subito un progressivo declino a partire dalla prima metà del Novecento, diversi fattori hanno contribuito a questo cambiamento: la modernizzazione del settore editoriale, la moltiplicazione delle librerie al chiuso e negli ultimi trent’anni delle vendite online, i cambiamenti nei gusti dei consumatori e nelle abitudini di lettura, la diminuzione delle fiere tradizionali e le difficoltà economiche del settore.

Ai librai ‘pontremolesi’ detti anche ‘erranti’ è dedicato il Premio Bancarella dal 1952, che ancora oggi celebra l’eccellenza nella letteratura e il contributo di quegli uomini col carretto alla cultura italiana. La loro eredità sopravvive come testimonianza di un’epoca in cui la diffusione della cultura avveniva attraverso il contatto diretto tra venditori e lettori, contribuendo in modo significativo all’alfabetizzazione e all’arricchimento culturale del paese.

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