Un sogno di Don Bosco. Sognare Gesù Cristo e la Madonna. Diretta sogni n.28

Un Sogno di
Don Bosco

Diretta sogni n.28
don Federico Berti

Il sogno di Don Bosco

Dalle Memorie autobiografiche di San Giovanni Bosco

«A nove anni ho fatto un sogno.  Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano.  Al sentire le bestemmie mi lanciai in mezzo a loro e cercai di farli tacere usando pugni e parole. In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente.  Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla.  Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi.  Aggiunse: «Dovrai farteli amici non con le percosse,  ma con la mansuetudine e la carità.  Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l’amicizia con il Signore è un bene prezioso». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace di parlare di religione a quei monelli. In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie e si raccolsero tutti quanti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa facessi gli domandai: «Chi siete voi,  che mi comandate cose impossibili?» «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili – rispose – dovrai renderle possibili con l’obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?», risposi, «Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante». «Ma chi siete voi?», gli chiesi. «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». «La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome», gli risposi. Ma lui mi disse: «Il mio nome domandalo a mia madre». In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino,  mi prese con bontà per mano e mi disse: «Guarda!».  Io guardai e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi; al loro posto c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli». Guardai ancora ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti che saltellavano, correvano, belavano,  facevano festa attorno a quell’uomo ed a quella signora. A quel punto nel sogno mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse: «A suo tempo, tutto comprenderai». Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato,  che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti. Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai miei fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma ed alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete». Antonio malignò: «Sarai un capo di briganti». L’ultima parola la disse la nonna, che non sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente. »

Parlare di questo sogno non è facile, anche un po’ per il rispetto che impone il personaggio. Ho tolto dal video una serie di dettagli comuni alle altre puntate, le carte, i numeri, non sarebbero stati consoni a questa diretta. In primo luogo, quel che colpisce è la complessità della narrazione: il racconto è lungo, dettagliato, strutturato, non sono gli appunti presi in fretta al mattino appena svegli. La narrazione è un prodotto della maturità, cui il religioso perviene solo in età avanzata e al quale attribuisce un momento chiave della sua vita, la vocazione religiosa. Se proprio vogliamo dirla tutta, nel racconto non c’è solo il sogno, ma anche la spiegazione meditata a lungo in tanti anni di sacerdozio. Questa devo dire che è una caratteristica comune alla maggior parte dei sogni raccontati in letteratura, non si limitano a riferire immagini confuse ma contengono anche il commento e spesso anche una sorta di responso poetico. Tanto che alla fine vengono presentati di fatto come se fossero dei sogni ‘premonitori’, col senno di poi ovviamente. Leggendo le memorie di San Giovanni Bosco, un particolare che colpisce subito è la complessa articolazione del dialogo tra l’apparizione e il sognatore, una cosa che nei sogni è decisamente poco comune, anzi di solito avviene il contrario: di non riuscire ad articolare bene le frasi. Ricordiamo per lo più qualche parola isolata, quasi mai il discorso è di senso compiuto. Col tempo però, se il sogno si fa ricorrente e ci torniamo col pensiero, finiamo per dargli noi un senso, dettagli che prima non avremmo registrato improvvisamente riaffiorano, alcuni li aggiungiamo proprio di sana pianta senza nemmeno saperlo, altri li sostituiamo, li deformiamo, ma la cosa più importante è che il racconto col tempo prende forma, diventa proprio una visione allegorica, un messaggio quasi poetico. Quel che interessa a noi infatti, è proprio lo stile narrativo di questo brano, che diventa quasi una parabola evangelica. Un sogno ‘strutturato’ con un suo preambolo, un’ambientazione, uno svolgimento, un culmine e una peripezia, come nelle storie. Non che il sogno possa avere un capo e una coda, è il nostro racconto a riconfigurarlo, rendendolo a tutti gli effetti un brano letterario; segnalo a questo proposito una lettura interessante, di Gabriele Guerini Rocco, Il linguaggio occulto dei sogni, Quando nel sogno compaiono pecore e capretti che mansueti si raccolgono intorno al buon pastore, il riferimento è alla parabola del buon pastore, dal Vangelo secondo Giovanni: un testo con cui il pur giovane sognatore doveva avere una certa familiarità, avendo ricevuto un’educazione profondamente religiosa. Marzia Mazzavillani ha dedicato un bell’articolo sulla visione di Gesù Cristo nei sogni, cosa piuttosto rara ed eccezionale per un sognatore comune, interpretata nella psicoanalisi come un riflessione introspettiva sui temi del sacrificio, della salvezza, della spiritualità. Tra le varie immagini oniriche legate a questo simbolo ricorrente, il sognatore riferisce quella di Gesù che parla e dispensa consigli, la ricerca di una risposta a quesiti importanti sia per un credente, sia per un non credente. Diverso sarebbe stato sognarlo benedicente, piangente, sofferente, sulla croce, deposto dalla croce, nel cammino verso il Calvario e così via. Nella Smorfia si parla anche di un secondo aspetto nel sognare Gesù, legato al desiderio di consolazione, di sentirsi amati con sincerità, ma anche talvolta di superbia e arroganza. Specialmente sognare di esserlo, una volta si riteneva portasse onore e gloria ma a costo di grandi sofferenze. Concludendo, una cosa mi rimane del sogno raccontato da Don Bosco, ovvero la chiarezza del racconto, semplice, limpido, chiaro. Non indulge nell’autocompiacimento delle descrizioni ma si attiene esclusivamente a quei dettagli che servono a comunicare il senso di un sogno sul quale si è meditato a lungo. “Non bisogna credere ai sogni”, dice. Bisogna raccontarli, aggiungo. Stasera niente numeri, scherza coi fanti e lascia stare i santi. Raccontatemi i vostri sogni, vi dedicherò una delle prossime dirette.

Condividi